ENORE ZAFFIRI

Andate le star, Traffic chiude oggi alle 18 alle Fonderie Limone di Moncalieri con un Lemon Party dedicato alla musica elettronica. Spazio per la techno minimale di Patrick Chardronnet e degli Afrilounge - nomi di punta della tedesca Pokerflat – e per i gioielli di casa Drama Society e Giorgio Valletta. Ma non solo: il festival chiude anche e soprattutto nel segno di un gioviale ed energico settantottenne torinese, presentando alla sua città e al pubblico l’opera pionieristica di Enore Zaffiri. Studente e poi insegnante presso il Conservatorio “Giuseppe Verdi”, fondatore nel 1964 dello SMET (Studio di Musica Elettronica Torinese) e da lì in avanti proiettato nella ricerca sulla musica elettronica, intrecciandola con geometria, arti visive e spirito innovativo sempre vivo.

Come nasce il suo interesse per la musica elettronica?
Ho studi classici, ma nei primi anni ‘60 il linguaggio musicale “serio” era in crisi profonda, e l’elettronica sembrava poter dare ossigeno. A Torino c’era un gruppo di architetti, pittori, poeti e letterati influenzato dallo strutturalismo, e in questo clima ho cominciato a lavorare nel campo. Gli apparecchi me li costruivo da solo, sul mercato si trovava ben poco. Per fortuna arrivò il registratore: i suoni venivano registrati, il nastro tagliato e incollato come nel cinema. Un lavoro minuzioso che oggi il computer fa in pochi secondi. Per un’ora di Musica per un anno (sua opera del 1968, ndr) ho passato sei mesi ad incollare pezzettini di nastro! Pensarci ora fa ridere, ma era affascinante. Si scopriva un mondo, e si pensava di creare un nuovo mondo sonoro fuori dalla tradizione.

Che effetto le fa questa attenzione improvvisa da parte di un pubblico più giovane ed eterogeneo?
Non me la aspettavo. È una cosa strana, che mi fa molto piacere. Lavoro in questo campo da quarant’anni, standomene sempre nel mio angolino ristretto, e la cultura ufficiale mi ha un po’ escluso. Essere recuperato dai giovani mi gratifica. Quest’anno la Die Schachtel di Milano ha pubblicato un disco con mie composizioni inedite degli anni ’60, ed hanno combinato loro questa serata. Non so nemmeno cosa suoneranno, per me è una sorpresa!

Quello che si sa è che il francese Jonathan Prager eseguirà dal vivo sue composizioni degli anni ’60 con l’Acusmonium, orchestra di ottanta altoparlanti.
Sono curioso! Vado al buio, e non voglio intervenire perchè sono loro ad aver fatto tutto. Mi hanno detto di questa apparecchiatura grazie alla quale i suoni girano e spaziano da una parte all’altra, sembra formidabile. Sono persino stupito, perché è musica estremamente minimalista, i suoi elementi sono molto semplici, ridotti all’essenziale. È musica talmente severa, talmente seria…

Eppure, lei sa che in ambito dance/elettronico odierno la cosiddetta “minimal” è il filone più seguito? Magari stasera salta fuori qualche giovane produttore con cui collaborare…
Vediamo, vediamo. Il mio lavoro era molto serio, rigoroso, di ricerca, e quindi con intenzioni diverse. Ma vedo che è sfociato così, e mi fa molto piacere. È un chiudersi del cerchio. Poi sa, io non posso stare dietro a tutto quello che succede! (ride di gusto, ndr)


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