ECCO I MIEI GIOIELLI
Corey Rusk racconta venticinque anni di Touch And Go

Liberi dall’otto al dieci settembre? A Chicago c’è un festival. Prendete nota, suonano: !!!, Arcwelder, The Black Heart Procession, Calexico, CocoRosie, Enon, The Ex, Ted Leo And The Pharmacists, The New Year, Pegboy, Pinback, Quasi, Seam, Shellac, The Shipping News, Supersystem, Three Mile Pilot e Uzeda. Si riuniscono per l’occasione Didjits, Girls Against Boys, Killdozer, Man Or Astro-Man?, Negative Approach e Scratch Acid, tutti in formazione originale. E i Big Black in classica formazione Albini/Durango/Pezzati salgono sul palco per “un paio di canzoni”. Non ci credete? Credeteci.
Sono i festeggiamenti per i venticinque anni della Touch And Go, celebrati da chi attualmente pubblica dischi per l’etichetta e chi invece nel corso degli anni l’ha resa la vera e propria istituzione del rock indipendente mondiale che è. E quando diciamo rock indipendente non diciamo indie declinazione anni 2000, diciamo rock indipendente. Quello creato dal nulla procedendo per tentativi e contro la corrente, con la forza delle motivazioni soltanto. Quello con la bava alla bocca e il rischio al fianco. La lista di cui sopra diventa allora molto più che il programma di un festival, e arriva a coincidere con un percorso illuminato a giorno nel meglio della musica sotterranea non solo americana di questo ultimo quarto di secolo. Diventa il programma di venticinque anni vissuti sbattendosene i coglioni e facendo ciò che si ritiene giusto, con la testardaggine positiva di chi queste cose ha imparato a farle quando non le faceva nessuno, se non i punk.

Viene quindi quasi automatico, anche ipotizzando di ignorare il rapporto di profonda vicinanza che lega i due uomini e le rispettive etichette, stabilire un collegamento diretto fra Ian MacKaye e Corey Rusk, il signor Touch And Go. Stessa scuola. Stesso andare da solo a rispondere alla domanda che stavi per fare. E come accadde intervistando il primo, anche oggi dopo questa telefonata intercontinentale ci si trova a dover tagliare e imbrigliare un filo del discorso che starebbe in piedi benissimo da solo, reggerebbe il doppio delle pagine a disposizione e andrebbe reso materia di studio obbligatoria per ogni sedicente musicista indipendente nato dopo il 1980.

Cominciamo proprio da lì, dal 1981. Cosa sta facendo Corey Rusk? “Sono alle superiori e suono nei Necros. Vivo a Toledo, una piccola città dell’Ohio priva di scena musicale. In qualche maniera, alle fine dei ’70, finiamo per essere coinvolti dal punk e formiamo la nostra band. Non ci sono etichette indpendenti, vogliamo fare un disco e ci rendiamo conto che il modo più semplice è farlo uscire noi stessi. Due amici di Lansing, nel Michigan, fanno una fanzine che si chiama Touch And Go. Sono un po’ più vecchi di noi, lavorano, e possono permettersi di finanziare il primo 7” dei Necros e quello di un gruppo di Lansing, The Fix. I primi due dischi dell’etichetta, che prende il nome dalla fanzine. Tesco (Vee, più tardi frontman dei Meatmen ed eroe minore del punk americano - ndr) e Dave stampano cento copie del nostro disco e duecento dell’altro. Non abbiamo idea di come venderli, se non ai concerti, ma Tesco comincia a spedire copie alle fanzine per avere recensioni, e io trovo un distributore che ne vuole  comprare un po’. Realizziamo in fretta che cento non sono esattamente sufficienti…”.
Risate, a ripensarci. Ma la posta in gioco è ben più alta. “L’intero processo era estremamente istruttivo e responsabilizzante. Era esaltante. C’era per esempio tutta una scena di amici a Detroit, gruppi come i Negative Approach, e sentii che volevo fare uscire più dischi. Trovai un lavoro, caricavo legna sui camion, e cominciai a guadare qualcosa per poter registrare altri dischi. I due successivi furono il secondo 7” dei Necros e una compilation di gruppi del Michigan e dell’Ohio, Process of Elimination. Io organizzavo stampa e distribuzione, Tesco si occupava della promozione: operammo così per i primi due anni, pubblicammo una dozzina di singoli.”

Certo le esperienze simili non dovevano essere tantissime, né troppo avviate. Quali altre etichette ispirarono la Touch And Go degli esordi? “Quelle praticamente contemporanee a noi, o di poco più vecchie. Le prime etichette punk americane: i Black Flag facevano uscire i loro dischi su SST, noi comprammo quel loro primo 7” quando uscì e… cazzo che gran gruppo! Vivendo in Ohio eravamo anche grossi fan dei Pere Ubu, di Cleveland, anche loro avevano una piccola etichetta con cui pubblicavano i propri dischi. A Cleveland poi c’erano i Pagans, che non si pubblicavano i dischi da soli ma avevano dei buoni amici con un negozio di dischi, che crearono un’etichetta apposta. Non conoscevamo la Dischord quando abbiamo cominciato, loro sono partiti solo pochi mesi prima di noi. Più o meno in quel periodo scoprimmo l’esistenza del 7” dei Teen Idles, e fummo entusiasti nel vedere che c’erano altri ragazzi giovani  che facevano cose simili alle nostre. Ci mettemmo in contatto e diventammo amici, noi andavamo a trovarli a Washington e loro venivano da noi, le nostre band cominciarono a fare concerti insieme, ognuno divorava ciò che l’altro stava facendo”.

Com’era essere un punk adolescente negli Stati Uniti del 1981? “Era eccitante, ma penso che a fine ‘70 o inizio ‘80 fosse eccitante essere dei punk in qualunque parte del mondo! Era tutto così nuovo e fresco. Stava succdedendo qualcosa che non era mai successo prima. Tutti coloro che erano coinvolti in quel periodo ne hanno ricavato qualcosa a livello personale. Il punk mi ha fornito una sorta di addestramento, di formazione: se davvero vuoi che qualcosa succeda devi farla succedere tu stesso. L‘espressione do-it-yourself ha ormai smarrito il suo significato, non è più usata nel senso letterale del termine, ma a quei tempi lo era. Nessuno avrebbe fatto qualcosa per te, nessuno avrebbe fatto uscire il tuo disco, nessuno ti avrebbe reso più facile il formare un gruppo, nessuno ti avrebbe reso più facile l’andare in tour. Se lo volevi, queste cose erano tutte fattibili, ma dovevi avere motivazioni forti, essere disposto a lavorare duro e a farle tu stesso. Quelli che presero queste iniziative legarono tra di loro. Più scoprivamo di ragazzi in altre città che facevano le stesse cose e più si creava un legame istantaneo con loro, sapevi che stavano facendosi il culo per le stesse cose per cui te lo facevi tu.” Una formazione che resta con te non solo per la musica, immaginiamo, ma in tutti gli aspetti della tua vita. Che ti forma a 360°. “Esattamente. In un certo senso, mi ha impedito di considerare che ci fossero altre opzioni: se vuoi che qualcosa sia fatto, lo fai. Ed è fatto come vuoi tu.”

Oggi invece, per Touch And Go e le sue colleghe più o meno giovani, sono tempi decisamente diversi. Quello che era alternativo è popolare, si rischia di guadagnarci un bel po’ di soldi e tutto, in generale, è molto più facile di quanto non fosse un quarto di secolo fa. Meglio? Peggio? Certo è che quell’addestramento si è quasi del tutto perso… “Purtroppo sì. È più facile. È bello che ci sia un network di distributori indipendenti, che chi vuole fare un’etichetta possa farsi stampare e distribuire i dischi facilmente. Con così tanti altri che lo fanno troverai di sicuro qualcuno che ti insegni il modo. Da una parte, questo permette a molta più gente di farlo, e fa in modo che ci sia molta più musica in giro per il mondo. Ma d’altro canto c’è meno selezione, qualcuno che casualmente pensasse ‘figo, vorrei fare un’etichetta e pubblicare dei dischi” può farlo senza troppo sforzo. Una delle ragioni per cui c’è così tanta musica di merda in giro è che è così facile.”
La gente fa etichette perché è figo farle, non perché c’è urgenza di farle, esigenza di documentare… “Molte etichette partono proprio così, senza davvero capire le ragioni dietro una scelta del genere. Se una cosa non è troppo difficile, non devi nemmeno avere troppe motivazioni per farla, mentre una volta era davvero durissimo. C’è un detto divertente qui: ‘attento a quello che sogni, perché potresti ottenerlo’. Per dire che quando ottieni una cosa potresti scoprire che non è esattamente quella che stavi desiderando. Ho sempre pensato che sarebbe stato bello, e lo è. Per la gente che è davvero creativa e ha la spinta per fare qualcosa di interessante. Purtroppo possono farlo anche tutti gli altri però, quelli che non hanno un singolo briciolo di creatività in corpo.”

Chi per la creatività e l’originalità ha sempre avuto un occhio di riguardo è sicuramente l’uomo con cui stiamo parlando, e l’eclettismo degli ultimi dieci/quindici anni di catalogo lo dimostra. Ma al Corey Rusk del 1981 piacerebbe la Touch And Go del 2006, o invece al solo nominare le CocoRosie avrebbe le convulsioni? L’interessato se la ride, e racconta:“Per i primi dieci o quindici anni, dopo l’hardcore degli inizi, siamo stati incasellati in uno stereotipo. Il noise-rock di gruppi come Big Black, Scratch Acid, Killdozer, Jesus Lizard, Urge Overkill. Il cosiddetto suono Touch And Go. Ma anche prima che il primo 7” dei Necros uscisse ho sempre ascoltato musica molto più varia di quella che la prima decade di dischi Touch And Go potrebbe farti credere. Alcuni dei miei dischi preferiti all’epoca erano quelli di Joy Division, Throbbing Gristle, Virgin Prunes. Amavo punk e hardcore, ma anche un sacco di cose più eclettiche. Specialmente allora però, chi mi avrebbe permesso di pubblicare la sua musica? Ero un’entità tutta da dimostrare! Gli unici a darti fiducia erano gli amici: io suonavo in un gruppo hardcore, i miei amici anche, e quello pubblicavamo.
C’è voluto molto tempo per allargare lentamente il campo ed arrivare dove siamo, a uno spaccato così ampio come quello dell’etichetta oggi. A qualcuno che ci seguiva dall’inizio non piace per nulla ciò che facciamo oggi. C’è chi voleva che fossimo solo quella specifica cosa, solo quel suono, e posso capirlo. Ma io ho sempre amato un sacco di musica strana, e molti seguono l’etichetta prima dei gruppi che questa pubblica. Ricevo regolarmente commenti da gente che ci segue da sempre e compra i dischi anche senza conoscere i gruppi, solo perché sono nostri. Mi piace pensare che ci sia una sorta di continuità della qualità lungo questi venticinque anni. Non ho mai fatto un disco che non mi piacesse. Ho scelto tutte le band con cui ho lavorato perchè mi piaceva cosa facevano musicalmente e mi sarebbe piaciuto lavorare con loro come persone. Ho avuto tantissime opportunità negli anni di fare dischi di gruppi che sapevo avrebbero venduto molto bene, ma se non mi piaceva fino in fondo la loro musica, o se non andavo perfettamente d’accordo con il gruppo come persone, non l’ho fatto.”

Impossibile non chiedere almeno un nome! “Jon Spencer Blues Explosion, ad esempio. Col tempo sono diventati un gran gruppo, se guardo indietro penso che forse al tempo sono stato poco lungimirante. Ma il loro primo album non mi diceva molto, e non vedevo che direzione avrebbero potuto prendere. Non mi piaceva abbastanza per essere coinvolto, e non lo feci. Ma non ho rimorsi: al tempo non riuscivo a vederli fare qualcosa che mi potesse piacere davvero, e non aveva senso per me lavorare con loro.”
E il contrario? Qualcuno che hai seguito e cercato ma non sei mai risucito a portare a casa? “ti dirò qualcuno con cui non è successo niente, poi non è successo niente, poi non è successo niente e alla fine è successo: Ted Leo. Non abbiamo ancora pubblicato nulla di suo, ma faremo il suo nuovo disco a inizio 2007. Sono un grandissimo fan dal primo album su Lookout. Non lo avevo mai sentito o visto prima, ho ascoltato il disco è… da dove cazzo salta fuori questo?! Perché non lo conoscevo e non non fa dischi per me? È incredibile! Amici mi avevano detto di lui, ma per un motivo o per l’altro non sono mai risucito ad andarlo a vedere dal vivo, e ogni volta che usciva un suo album mi dicevo ‘Cazzo! Mi piacerebbe lavorare con sto tipo!’. Sono contentissimo, non pensavo sarebbe mai successo”.
I sogni si avverano, allora. Ma quello più sogno di tutti? Corey non ha esitazioni: “Fugazi! A livello musicale e a livello personale, se c’è un gruppo degli ultimi venticinque anni con cui mi sarebbe piaciuto lavorare ma non ho potuto farlo, sono i Fugazi”. Gli si chiede speranzosi se torneranno mai, e la sua divertita risposta è molto molto fugaziana, se ci si pensa un attimo: “Non mi sorprenderebbe nessuna delle due ipotesi. Non scommetterei soldi in nessuna direzione”.

Parliamo dei dischi che esistono allora. Quali titoli del catalogo possiamo considerare uscite chiave nel percorso dell’etichetta, passi cruciali del suo cammino? Dovendo per forza di cose sintetizzare, ci pensa su un bel po’. E poi va sul sicuro con tre pezzi da novanta, non a caso tutti e tre scelti anche da Rumore nella top ten a margine: “Continuo a pensare che i Jesus Lizard siano stati una delle migliori rock band di tutti i tempi. Goat è uscito dal nulla, nessuno se lo aspettava,  ed è uno dei migliori dischi rock mai fatti. Spinse tutto in avanti. Ricordo che continuavamo a venderne sempre di più ogni settimana, e ogni volta che suonavano ricevevamo lettere di gente che andava fuori di testa. Quel disco e quel gruppo sono stati sicurmente un punto di svolta, non solo per noi.
Prima di loro, direi Songs About Fucking dei Big Black. Come potremmo parlare di dischi cruciali senza nominarlo? I Big Black hanno cambiato la faccia della musica per sempre, e Songs About Fucking è un altro di quei dischi di importanza storica con cui abbiamo avuto a che fare. Poi ci sono gli Slint, ovviamente. Spiderland è un altro album che ha davvero cambiato la musica indipendente. Così tante band hanno cominciato a suonare con quello stile dopo la sua uscita!” Domanda canonica: il titolo invece più sottovalutato? Qui nessuna esitazione: “Di molte uscite sono stupito che non abbiano fatto meglio, ma il disco a cui penso sempre come al più sottovalutato e trascurato - ed è un disco brillante - è quello dei For Carnation. Lo ascolto regolarmente tuttora, ed è fantastico.”

Sempre restando al catalogo, il concerto per il venticinquennale prevede molte riunioni clamorose organizzate appositamente. Mancano giusto Jesus Lizard e Slint, a occhio (anzi no, manca anche robetta come June Of 44, Big Boys, Die Kreuzen, Kepone, Delta 72, Rodan, Tar e Urge Overkill tra gli storici. E come Don Caballero, Mekons, Blonde Redhead, Nina Nastasia, Tara Jane O’Neil, Polvo, Rachel’s, Shannon Wright, Yeah Yeah Yeahs e TV On The Radio tra chi per Touch And Go è passato di recente o ancora passa). Il nome più atteso dal boss? “Tutti. Sono davvero eccitatissimo per tutte le band che hanno deciso riunirsi per l’occasione. Sono entusiasta. Stanno tornando insieme solo per suonare alla nostra festa, e basta. La loro è stata una risposta generosa, che fa bene al cuore. E che non mi aspettavo così massiccia”.
Mancano sulla carta, ma era ovvio che non ci sarebbero stati, quei Butthole Surfers con i quali Corey scazzò sul serio qualche anno fa, per questioni di diritti e ristampe. Dopo il fattaccio e i contraccolpi non solo lavorativi che causò, Touch And Go continua a lavorare con i suoi artisti esclusivamente sulla base di accordi verbali e strette di mano? “Certo, continuiamo così. Quella faccenda mi ha sconvolto, per un po’ ho seriamente considerato di cambiare tutto il modo in cui faccio e ho sempre fatto le cose. Ero molto depresso, ed è stato uno dei momenti in questi venticinque anni in cui sono stato più disilluso riguardo l’etichetta. Come mai prima. Ci ho pensato per mesi, ed alla fine ho realizzato che siamo stati in giro per tanto tempo, ma quello è stato l’unico problema del genere. Ci sono etichette che hanno fatto contratti per ogni disco pubblicato, e magari hanno avuto ben più problemi di noi. Quindi ho deciso di non pensarci più e sono andato avanti. Facciamo sempre 50/50 con il gruppo, e ci accordiamo con una stretta di mano. Molto raramente abbiamo avuto contratti, quasi esclusivamente in caso di licenze per o dall’estero. Ma in generale è tutto basato sulla fiducia reciproca”. E CocoRosie o non CocoRosie, questo al Corey Rusk del 1981 piacerebbe moltissimo.


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