MUSIC TAKE ME UP
Larry Heard e la rivoluzione fatta in casa

Capita raramente che, parlando di generi e sottogeneri musicali, ci sia unanimità sul brano che li ha inaugurati. Per quanto riguarda però la deep house, su Can You Feel It di Larry Heard/Mr. Fingers, anno di grazia 1985, l'accordo è pressochè universale. Capita altrettanto raramente che persone tanto importanti per la storia della musica siano così disponibili e gentili, umili fino al rischio di scomparire nel mondo tutto apparenza del clubbing attuale. Di Heard, colosso della house di Chicago che – per come vanno le cose – non ci stupiremmo di vedere arrivare con due guardie del corpo e due stangone per lato, e un rider pieno di richieste assurde, colpisce la purezza. La sicurezza di sé che diventa concentrazione massima sulla propria arte, e minima sul contorno. “L'ultimo servizio fotografico me lo hanno fatto quattro o cinque anni fa”, ci dice. Pacato, minuto, per niente appariscente, sembra un turista qualunque con il berretto da baseball e lo zainetto in spalla. Più che sufficiente per cuffie e raccoglitore dei CD, comunque. L'opportunità di incontrarlo ci è data dal suo dj set al The Beach di Torino per Secret Mood, nuovo appuntamento che ha riportato sotto la Mole il gusto per la house classica, quella che rende chiaro il suo posto nel percorso evolutivo della musica afroamericana. Le domande che vengono in mente sono tante, si accavallano cronologicamente e si perdono nelle suggestioni fornite dalle risposte. Proviamo a mettere ordine.

La tua prima volta in un club?
Non ne sono sicuro, è passato tanto tempo... ricordo solo di essermi divertito, con gli amici e con della buona musica.

Era l'epoca della disco?
Un po' più tardi. Ho cominciato a suonare la batteria durante il picco della disco, verso il 1977, e passavo quindi il mio tempo libero nei locali dove si faceva musica dal vivo, più che nelle discoteche.

Andavi al Warehouse, lo storico club di Frankie Knuckles?
No, me lo sono perso. Andavo al club successivo di Frankie, il Power Plant, musica eccellente e ballerini pazzeschi. Ma al Warehouse no: ho fatto il turno di notte per un bel po', e vedevo un sacco di gente nella strada dove lavoravo... ho scoperto solo dopo che lì c'era il Warehouse! Mi chiedevo cosa fosse quella folla, ma non ne ero al corrente, nessuno me ne aveva parlato fino a quando non feci il primo prototipo di Mystery of Love. Un mio vicino di casa la sentì e mi disse che suonava come le cose che mettevano al Warehouse. Così sono dovuto andare a fare delle ricerche: cos'è questo Warehouse? Ma al tempo stava chiudendo. Io e un amico abbiamo comunque cominciato ad andare nei club della città, a Sentire come era la musica che suonavano, e fu questo mio amico a suggerirmi di fare uscire io stesso le mie tracce. Avevo già avuto a che fare con il mandare demo alle etichette senza mai avere risposte, e tutte le cose che fanno le band, così ho deciso di fare da solo. Ho trovato un posto che stampava gli acetati, ne ho fatti tre e Tony Harris, un amico del quartiere (South Side di Chicago – ndr), li ha passati a Frankie e a Ron Hardy. Solo tre copie, io ho tenuto la terza.

Reazioni ai tre acetati?
Ottime! Hanno entrambi cominciato a suonarla immediatamente al Power Plant e al Music Box. Il timing era perfetto, stavano cominciando ad avere a che fare con produttori del posto che gli portavano le proprie cose su nastro, e loro le suonavano. Ed è vero quello che si dice: molto spesso suonavano queste cose la sera stessa, al volo. Gente così ascolta tantissima musica, capisce subito se qualcosa funzionerà in mezzo alla loro scaletta. Inoltre, era bellissimo sapere che la musica era fatta da persone come te, ti faceva sentire connesso con i tuoi simili, parte di qualcosa. Tutti amavamo Marvin Gaye e Michael Jackson, ma questi li conoscevamo davvero, ci andavamo a scuola o ci lavoravamo insieme, abitavano dietro l'angolo, potevamo toccarli. Non potevamo toccare Marvin Gaye e Michael Jackson!

In ogni caso, hai cominciato a produrre prima di frequentare i club, o no?
Più o meno allo stesso tempo. Quando sono andato in quei club, ho capito che quella era la musica che sentivo sempre Herb Kent mettere alla radio. Nel suo show Herb Kent's Punk Out suonava punk rock e tutte queste cose elettroniche che arrivavano da Italia, Spagna, Belgio, Germania. Per sentire tutta questa musica interessantissima stavamo svegli la notte. Ma tutta la radio a Chicago, all'epoca, era straordinaria: programmi jazz e fusion, programmi rock, grande musica anche nei jingle e negli stacchetti! Così ho scoperto gli Yes o Frank Zappa, e sono andato a cercare i loro dischi, da quelli piu recenti a ritroso fino ai primi.

I negozi di dischi, che vanno scomparendo, erano un luogo fondamentale in questo senso.
Certo. Voleva dire incontrare gente con gusti simili, fare amicizia, scambiarsi influenze. Ma erano importanti anche perchè la gente andava a chiedere i pezzi che sentiva nei club, ma che non erano usciti, e questo ci sprono' a trovare il modo di farli uscire. Ho cominciato a comprare dischi a nove anni, il primo è stato Hot Fun in the Summertime, un singolo di Sly And The Family Stone che cercavo per il retro, Everybody Is a Star. Andavo a piedi con mia madre al negozio di dischi del quartiere, i miei genitori compravano un sacco di roba: il primo singolo disco che è entrato in casa lo ha preso mio padre, Love to Love You Baby di Donna Summer, e il secondo mia madre, i Silver Convention, tedeschi. Da subito abbiamo avuto musica straniera in casa, ed era intrigante leggere “Germania” sulla copertina, di solito leggevi “New York”, “Detroit”, “Philadelphia” o “Los Angeles”... wow! Sentivi di imparare qualcosa sul mondo.

Vieni da una famiglia molto musicale?
Sì, ma tutto il quartiere era pieno di musicisti. Di fronte alla mia scuola elementare abitava Charles Stepney, un produttore e autore soul/funk molto noto, sentivamo sempre i suoni uscire dalle finestre, ma era una cosa comune, e non sapevamo che dentro c'erano gli Earth, Wind & Fire che provavano! Un paio di isolati più in là c'era lo studio degli Staple Singers, ma ne scoprivamo di continuo: gente che è finita nei Change, un batterista che suonava con Teena Marie, il nucleo di musicisti che avrebbe formato gli LTD.

C'erano i block party?
Una volta sì, ma come le cose hanno cominciato a cambiare dal punto di vista economico, con la gente costretta a fare due o tre lavori, c'è stato sempre meno tempo per rilassarsi e divertirsi. Per questo la musica con cui sono cresciuto, negli anni '60 e nella prima metà degli anni '70 è così rilevante per me, perchè è legata alla famiglia e agli amici. Nei block party ci chiedevano sempre di suonare, avevamo molti dischi in casa, attaccavamo lo stereo agli amplificatori da chitarra e da basso dei miei fratelli e li mettevamo fuori dalla porta, e c'era musica per tutti.

A 17 anni hai cominciato a suonare, e per un po' hai fatto il batterista in vari gruppi. Cosa ricordi del momento in cui è arrivata l'elettronica, e hai capito che la tua strada era quella?
A quel tempo cercavo musica che mi mettesse alla prova come batterista, e questa non era certo la disco, i cui ritmi erano molto semplici. Suonavo con gente bravissima, chitarristi sconosciuti che suonavano come Al Di Meola, bassisti al livello di Stanley Clarke e Jaco Pastorius, e tutto a un tratto ho fatto uscire questa canzone semplice semplice, Mystery of Love... già sapevo che mi avrebbero preso in giro. In concerto non suonavamo mai musica disco, era troppo semplice, non potevi mettere in mostra le tua abilità, non potevi fare gli assoli.

Anche tu li facevi?
Certo! Quello di 2112 dei Rush, uno dei miei preferiti, o quello di Supper's Ready dei Genesis...

Ma prima ancora di fare uscire dischi, come hai capito che i sintetizzatori e le batterie elettroniche aprivano tutte quelle possibilità nuove?
L'ho capito mentre ero ancora nei gruppi: c'era sempre un tastierista, che arrivava con questi Arp e questi Oberheim, i suoni che ne uscivano erano... mi piacevano! Fino ad allora avevo avuto a che fare solo con dei pianoforti, sono cresciuto in una casa piena di pianoforti, e il suono di questi nuovi strumenti ha fatto lavorare la mia immaginazione. Appena avevamo un minuto libero, del tempo morto, andavo sempre a toccare tutte le manopole e i cursori, estasiato. Un giorno un amico che sarebbe stato fuori città per un po' mi lasciò portare a casa qualcuno dei suoi mille sintetizzatori, un Roland Juno-6 in particolare. È in quel momento che ho fatto i prototipi per Mystery of Love, Washing Machine e Can You Feel It, al volo, senza nemmeno pensarci. È successo.

Quindi è vera la leggenda? Hai prodotto quei tre brani storici in un solo giorno?
Sì. Probabilmente avevo un sacco di idee chiuse dentro di me, pronte a venire fuori. Quando ero un batterista ho sempre avuto idee per la musica, ma non era tradizione che il batterista avesse voce in capitolo, non era accettato, si doveva occupare del ritmo e basta. Lo stesso è successo quando ho incontrato Robert Owens per la prima volta, anche lui era in una situazione simile, c'era gente che gli diceva che non poteva cantare...

Stai scherzando? Robert Owens, la voce della house?
Proprio lui. L'ho incontrato a una festa dove faceva il DJ. Ci hanno presentati, lui conosceva Mystery of Love, che era già fuori. “Ah, sei tu che l'hai fatta? Io canto e scrivo dei testi”, e io rispondo che dobbiamo vederci qualche volta. Ci siamo scambiati i numeri, e ci siamo subito trovati. Il primo giorno in cui abbiamo lavorato insieme abbiamo fatto A Path. Io avevo idee per la musica, lui andava sempre in giro con questa borsa piena di testi scritti su tovagliolini e fogli sparsi, ci rovistava dentro e cominciava a cantare. Ha sempre avuto talento, può cantare qualunque canzone, anche la più sciocca, e renderla la sua canzone.

Non la chiamavate house, vero?
Non la chiamavamo in nessun modo. Era la nostra musica, dance music.

Voi e tanti altri produttori di Chicago stavate facendo la storia della musica dance, e non solo. Ve ne accorgevate, in qualche maniera?
Non so se qualcuno di noi avesse la consapevolezza di cosa sarebbe successo in futuro, per questa musica senza nome. Era una questione musicale e culturale. Io, Jamie Principle, Steve Hurley e tutti gli altri avevamo idee, ma non avevamo una voce, e questa musica ce l'ha data, anche se è nata confinata in un paio di club. Ha trasmesso le nostre idee, che altrimenti sarebbero scomparse.

A proposito di idee, quando decidi che un tuo pezzo è finito?
Ne faccio così tanti che devo finire. Ho migliaia di cose iniziate: mi dico che devo finirle, che l'idea c'è, salvi e passo ad altro. Vado veloce. Posso fare sette, dieci o quindici cose in un po' di ore. Brevi idee sulle quali poi ritorno in seguito. Prendi Mystery of Love, ad esempio: quello che ho messo su nastro era il disco, i cinque o sei minuti che dura sono quello che ci è voluto a farla. Avevamo un equipaggiamento minimale, un sintetizzatore e una drum machine, non molta roba da mixare, e la Roland TR-707 ha i cursori come un mixer, mixi direttamente lì dentro. Anche Bring Down the Walls è stata fatta così: Robert abitava dietro l'angolo, è venuto a casa mia, gliela ho fatta sentire e lui ha cominciato a cantare nel microfono. Quello che è andato sul nastro è quello che c'è sul disco. Né io né Robert eravamo estranei alla musica, io ero coinvolto da una decina d'anni ormai, e lui cantava da molto tempo per conto suo, nessuno ha dovuto insegnarglielo. Le mie orecchie erano allenate ai toni degli accordi, perchè come ho detto sono cresciuto ascoltando mia madre, mio padre, mia nonna, i miei zii e le mie zie suonare il piano.

Quando producevi cosa così semplici e basilari, così nuove, hai mai ricevuto critiche? Qualcuno ti ha mai detto che la tua non era “vera musica”?
Se qualcuno lo ha detto non l'ho sentito, perchè ero occupato a sviluppare idee. Lavoravo chiuso in stanza come uno scienziato pazzo, come del resto facevo prima, quando suonavo la batteria. Mi chiamavano a cena e io continuavo imperterrito. Sono così quando comincio a fare qualcosa, ci metto il migliore impegno possibile. Non sapevo esattamente cosa facevo, ma avevo l'esempio di gente come i Kraftwerk o Alexander Robotnick, ad esempio, di altre cose estere e di cose invece americane. Alcune delle mie prime prove consistevano nel fare mie versioni di altre canzoni, come Use Me, Loose Me dei Paul Simpson Connection. Era il mio modo di imparare, nello stesso modo in cui ho imparato a suonare tutti gli strumenti che suono: ascoltavo i dischi e ci andavo dietro. Le lezioni non erano per me, mi insegnavano i rudimenti e le cose tecniche, e la mia mente diceva “voglio solo suonare una canzone, non mi interessano e cose tecniche!”

Hai citato Kraftwerk e Robotnick: la musica europea che sentivate alla radio era un'influenza importante per voi?
Assolutamente. Eravamo tutti molto curiosi di sentirla, perchè era musica di altri paesi! Prima, tutta l'esposizione che avevamo sul mondo al di fuori dell'America era una versione spagnola di un pezzo di Donna Summer ogni tanto, roba così. Poi abbiamo scoperto queste cose incredibili che arrivavano da tutto il mondo, e ne eravamo tutti molto entusiasti.

Un'attitudine ricambiata con l'amore degli europei per le cose americane: perchè house e techno sono da sempre piu apprezzate e importanti in Europa e non negli Stati Uniti, dove sono nate?
In america c'è un'ostilità di lunga data fra la cultura dance e la società tradizionale. Ricordi lo slogan Disco sucks, alla fine degli anni '70? È una mentalità che non è morta, c'è ancora gente che non capisce e non vuole capire la muscia e la cultura dance. La prima volta che la disco è venuta in superifcie ha sfondato, ed era tutta su etichette indipendenti. Le major hanno dovuto rincorrere. Lo stesso è successo con la house, gli artisti house avevano pezzi in classifica a fianco di Whitney Houston e Janet Jackson, e le major hanno cercato di farla sparire per non dovere rincorrere di nuovo. Gli indipendenti sono piu vicini al modo di pensare della gente comune, di coloro che vanno nei negozi di dischi. Molto più vicini di quanto non lo siano gli amministratori delegati delle major. In Europa, anche le major erano piu aperte mentalmente, c'era meno competizione fra le indipendenti e le etichette commerciali. Io ero su MCA nel Regno Unito, ma la MCA di Los Angeles e di New York non ci capiva nulla! Non capivano la house, non la sapevano vendere come vendevano altri generi.

Dopo il grande ritorno con The Sun Can't Compare, stai lavorando a materiale nuovo?
Ho idee ogni giorno, ma per quanto riguarda uscire sul mercato... ho accantonato due album interi negli ultimi cinque anni. Ma ho appena prodotto otto pezzi per il nuovo album di Robert Owens, e mi piacerebbe fare altre cose con Mr. White (la voce di The Sun Can't Compare - ndr) e un altro vocalist di Chicago.

L'ultima domanda è sull'ultimo brano dei tuoi DJ set. Quando le luci sono accese e la gente urla “one more tune”, che disco metti?
Qualcosa di tranquillo ma singificativo, come Changin' di Sharon Ridley, una canzone molto sottovalutata, ma grande. È un midtempo sui 109 o 110 bpm, il tempo perfetto per me, e ti lascia con un buon feeling, ti manda a casa con una bella immagine di quello che è successo musicalmente. È questo che cerco di fare con l'ultima canzone.

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