IL TESORO D'ETIOPIA
Sulle strade del groove di Addis Abeba

Una musica commovente e meravigliosa che non somiglia a nessun'altra, una nazione indipendente da tre millenni, un popolo fiero fino al limite dello sciovinismo, un'immagine pubblica di inferno sulla terra assai lontana dalla realtà. E ancora: un appassionato francese che, rapito da un vecchio disco, diventa un musicologo ed archeologo culturale al quale la storia prima o poi dovrà rendere merito. Una band olandese che da un quarto di secolo abbondante è esempio di indipendenza e apertura mentale. L'ultimo fortunato film di un regista americano con la faccia da rocker. Uno straordinario cantante cieco scomparso lo scorso dicembre. Un sassofonista enorme che intonando i canti di guerra del suo popolo nello strumento inventa il free jazz senza saperlo, e a settanta anni suonati registra un album con la band di cui sopra.

Tutte strade che si incrociano in Etiopia, nazione della quale l'Italia nulla sa, nonostante tra il 1935 ed il 1941 abbia provato a civilizzarla a colpi di bombe e gas velenoso, fischiettando In Africa si va. Per la musica prodotta nei paesi dei quali nulla sa l'uomo ha persino inventato un nome e un genere, world music, come quando la squadra forte gioca contro il Resto del Mondo. Servono a distinguerla da quella nordamericana e britannica, ad avvertire che si tratta di cose per gente un po' snob suonate da gente con la pelle un po' colorata (ma non solo: a Londra, per dire, Carla Bruni la trovate lì), e a conficcare in un mercato specialistico il grosso della musica suonata ed ascoltata ogni giorno nei 190 stati del pianeta non governati da presidenti di nome Bush o Blair, e quindi meno interessanti.

Ma torniamo alle strade. Sono quelle di leggende pop abissine degli anni '60 e '70 come Tlahoun Gèssèssè, Alèmayèhu Eshèté, Mahmoud Ahmed. Di Francis Falceto e della sua Ethiopiques , imprescindibile serie di ristampe di materiale soprattutto anni '60 e '70 giunta al ventunesimo volume. Degli Ex e del loro cogliere il senso più puro ed essenziale del punk, con la musica e con l'etichetta di casa Terp. Di Jim Jarmush e del grande Mulatu Astatqé nella colonna sonora di Broken Flowers . Di Mohammed “Jimmy” Mohammed, riposi in pace, e del vecchio leone Getatchew Mekuria. Le abbiamo intraviste il mese scorso nel privé del sottoscritto, proviamo a percorrerle ora accompagnati da Falceto e Terrie Ex.

“Il mio primo contatto con la musica etiopica risale al 1984 – ricorda il francese – quando lavoravo come direttore artistico per locali e festival ed ero già molto interessato ai suoni provenienti da ogni parte del mondo. Il termine world music ancora non esisteva, ma io ne programmavo già molta, insieme a cose sperimentali, avanguardia, free jazz, noise,elettronica. Una sera a una festa con degli amici qualcuno portò un lp etiopico del 1975, Erè Mèla Mèla di Mahmoud Ahmed, e ne fummo tutti sbalorditi. Io forse fui il più sbalordito di tutti, perchè il giorno dopo ne avevo già fatto delle cassette e le avevo mandate ad altri amici, giornalisti musicali, che subito mi chiamarono entusiasti: ‘Wow! Che roba è? Come l'hai trovata? Hai altro di simile?'. Capii così che si trattava di buona musica, grazie al parere prezioso di gente con un buon orecchio, e che nessuno ne sapeva nulla. Decisi di dare un'occhiata da vicino, nel 1985 andai in Etiopia per la prima volta e da lì cominciò tutto: nel 1986 con la Crammed Discs di Bruxelles ristampammo Erè Mèla Mèla (che rimasterizzato e con due bonus è diventato nel 1999 il settimo volume di Ethiopiques – ndr) , una pietra miliare, il primo disco di musica etiopica moderna pubblicato nel mondo occidentale. Mi ci è voluto del tempo, comunque, per capire che volevo essere coinvolto più a fondo in questa musica, per studiarla. Sono stato in tutto più di trenta volte in Etiopia negli ultimi vent'anni, e la mia vita è completamente cambiata. Non mi aspettavo che potesse succedere solo per una canzone o un cantante… e invece a poco a poco sono diventato un cosiddetto specialista di musica etiopica!”

Cosa trova Francis Falceto, scendendo da un aereo ad Addis Abeba nel 1985? “Avevo un paio di contatti, ma ero totalmente ignorante sull'Etiopia in generale. I media parlavano solo dei disastri dovuti a siccità e carestie, ed era un problema, perché non volevo in nessun modo legare questa musica all'agitazione di quel momento. Pensavo e continuo a pensare che vada ascoltata ed amata per se stessa e basta, e non perché il Paese ha dei problemi. Mi sono sempre rifiutato di organizzare concerti benefit per l'Etiopia, ad esempio.” Niente paternalismo world , quindi, ma parità di trattamento. Per un paese che però i suoi momenti scuri li ha passati eccome. “Arrivavo nel bel mezzo di una rivoluzione stalinista, nel senso peggiore del termine. C'era un governo militare che non concedeva nessun tipo di libertà (il Derg del Maggiore Mengistu, poi condannato per genocidio, che nel 1974 aveva rovesciato l'Imperatore Haile Selassie - ndr) , il coprifuoco era cominciato all'inizio della rivoluzione e sarebbe continuato senza interruzione fino al 1991. Immagina di arrivare dalla Francia, dove sei abituato ad uscire tutte le sere per andare ai concerti… là non potevi fare nulla del genere, appena cominciava a calare la notte le strade di Addis Abeba o di qualunque altra città si facevano deserte, nessuno in giro, nessuna vita notturna. Un sacco di militari per le strade, un sacco di controlli, ovunque andavi incontravi dei militari che controllavano se avevi pistole o bombe nella borsa. Era una nazione in guerra.”

La stessa nazione fino a pochi anni prima protagonista di una intensa vita notturna, il fulcro nella spensieratezza della leggendaria della Swinging Addis a cui è intitolato l'ottavo volume della serie… “La scena musicale prima della rivoluzione era pazzesca, come c'era la swinging London c'era la swinging Addis ! Minigonne, moda, giovani vestiti in maniera eccezionale. Un divertimento impensabile, soprattutto alla luce dell'immagine che la maggior parte degli occidentali oggi ha dell'Etiopia come di un paese triste dove la gente muore di fame. L'Etiopia degli anni ‘60 e dei primi ‘70 era una nazione normale, con una vita notturna incredibile in cui potevi incontrare musicisti, studenti, ricchi, poveri, nobili e borghesi tutti mescolati insieme. Era eccezionale, una cosa davvero inimmaginabile!”

Colonna sonora, una serie di orchestre e big band fino a fine '60 direttamente dipendenti dalle strutture dello stato (Imperial Body Guard Band, Police Orchestra, Army Band, Haile Selassie Theatre Orchestra, Municipality Orchestra e via di seguito), in seguito affiancate da complessi indipendenti e privati . E una pattuglia di stelle del microfono che cantavano di amore, passione, patemi e politica (con ampio ricorso all'arte tipicamente locale del doppio senso) su una ribollente miscela di influenze tradizionali ed elementi jazz, swing, soul, funk e pop di chiara provenienza anglo-americana. Per un risultato che non suona però come nessuna altra musica in Africa, o nel mondo intero se è per questo. Assolutamente e gloriosamente unico, perché unico è il clima culturale che in Etiopia da sempre si è respirato: “Il Paese ha un carattere molto forte, legato alla sua lunga tradizione di indipendenza. Inoltre, bisogna tenere a mente che l'Etiopia è cristiana dal IV secolo, da ben prima di noi e da ben prima delle invasioni europee, ed intorno ha sempre avuto paesi musulmani. Tutte queste ragioni hanno profondamente rinforzato il senso di indipendenza del paese, e lo si può vedere in ogni aspetto della vita quotidiana, in ogni aspetto della cultura in generale, si tratti del cibo come della pittura come della musica. C'è una sorta di specifica forza etiopica, che dà la sua dimensione ad ogni tipo di arte prodotta nel paese ed è profondamente collegata al contesto storico.”

Nessun tipo di relazione quindi, né personale né sonora, con scene africane coeve ed altrettanto vive, come quelle di Nigeria o Ghana, per dirne due. Il groove etiopico cresce in modo autonomo, tendendo l'orecchio semmai verso gli Stati Uniti. “A parte pochissimi che dal Kenya o dallo Zimbabwe si trasferirono nella capitale per un paio d'anni a metà dei ‘60, non c'è stato nessun contatto, e direi nemmeno nessuna influenza reciproca, fra musicisti etiopi e colleghi africani in genere. Nei miei primi viaggi, continuavo a stupirmi di come questa musica fosse lontana dai trend più comuni nel resto del continente. Non ha per esempio le influenze latine che puoi trovare in Senegal o in Congo, nulla del genere. L'unico paese con cui si sono avuti dei rapporti è il Sudan, musicisti etiopi andarono a suonare là e musicisti sudanesi ricambiarono, anche cantando l'uno le canzoni dell'altro. Ma tutto su scala molto piccola. Prima di approfondire l'argomento, è però necessario conoscere il background storico della nazione. L'Etiopia esiste da circa tremila anni e non è mai stata colonizzata, fatta eccezione per i cinque anni di occupazione da parte dell'Italia fascista di Mussolini. È sempre stata una nazione indipendente, membro fin dal 1924 della Società delle Nazioni, predecessore dell'ONU. Gli etiopi sono molto nazionalisti, direi quasi sciovinisti, guardano addirittura con un certo sdegno al resto dell'Africa. E queste sono cose che ho dovuto imparare, conoscere e capire un poco alla volta andandoci spesso, perché nessuno ci ha insegnato la storia di questo paese e nessuno ci insegnato la mentalità della gente, che è davvero speciale ed unica.”

Servono a questo punto anche le parole del musicista, nel tentativo di descrivere a chi non l'ha mai sentita questa musica familiare ma aliena. Terrie ci prova con piacere: “Innanzitutto, è molto generosa. Ha cuore, è toccante. Da un lato è completamente naturale e tua , e dall'altro lato non hai mai sentito nulla di simile. Ed ha sempre un'aria quasi di superiorità: anche quando su alcune cose degli anni ‘70 si sente forte l'influenza di James Brown, ad esempio, resta tutto molto etiopico, e chi canta lo fa con un'attitudine che sembra dire ‘Ma quale James Brown! Io sono molto meglio!'. È un suono sicuro di sè e stiloso, ma nello stesso tempo fragile ed emozionale, improvvisato e divertente. Musica aperta può essere una buona definizione. La nazione è isolata, in senso assolutamente positivo, e ha così potuto dare vita a uno stile unico. Tutti i musicisti etiopi usano addirittura quattro diverse scale pentatoniche che hanno solo loro, e puoi davvero riconoscere la loro musica dalle scale.”

Difficile allora suonare dal vivo e in studio con una leggenda vivente della musica abissina come Getatchew Mekuria, sassofonista con cui gli Ex hanno da poco registrato lo strepitoso Moa Anbessa (Terp)? E come ha reagito il signor Mekuria di fronte all'interesse di una band sperimentale olandese di estrazione punk, innamorata della sua musica di trenta o quaranta anni fa? “Bene! Anche se non sa nulla del punk, ci vede solo come musicisti e persone. È una collaborazione che va ben oltre ogni tipo di etichetta. Ha a che fare con la comunicazione umana e la musica. Lui ci apprezza come musicisti, e quando ad esempio suoniamo un assolo al di fuori delle scale etiopiche per lui è ancora più appassionante. Si informa, ci chiede, ci improvvisa sopra, è una sfida anche per lui. Ed è qui il bello, perché è anziano, appartiene a una generazione diversissima dalla nostra. Ma nonostante questo è aperto mentalmente verso musica per lui nuova, e si fida di noi completamente. Quando suoniamo insieme, più siamo rumorosi e selvaggi e più gli piace! È un uomo incredibilmente energico, un vero musicista e un   maestro, lo sentiamo molto vicino.” Francis conferma: “Basta leggere il booklet di Moa Anbessa , vedere il modo in cui parla del suo incontro e della sua collaborazione con gli Ex. È totalmente esaltato, è come se avesse trovato la band di cui aveva bisogno per esprimere il modo in cui suona il sassofono. È ringiovanito di trent'anni all'improvviso!”

Il bello degli Ex, invece, è che in Etiopia ci sono andati a suonare. E a questo punto non dovremmo tanto chiederci con tanta meraviglia perché una band prenda armi e bagagli e vada a suonare in Etiopia, quanto perché non lo facciano tutte le altre. Intendendo “suonare in Etiopia” in senso sia letterale sia figurato, e quindi come sfidare l'ignoto, saltare le barriere, evitare il facile, ribaltare le scale di valori, rivedere anche solo per un giorno le priorità. Possibile poi che ad Addis Abeba o a Dire Dawa ti trattino pure meglio che in un pub di Manchester o in un loft di New York, chissà. “Ci sono stato per la prima volta dieci anni fa con la mia ragazza – ricorda Terrie – un giro dell'Africa con l'Etiopia come ultima tappa. È il mio paese preferito al mondo! La cosa bella è che sono molto… orgogliosi è sempre una parola stupida, ma sono molto orgogliosi di ciò che fanno, delle loro cose, del fatto che il loro Paese sia così originale. Puoi davvero accorgerti di come non sia mai stato una colonia, a parte i cinque anni di Mussolini. Tutto è molto particolare, dalla lingua al modo di contare i giorni e gli anni, dal cibo alla musica. Il resto dell'Africa è ancora danneggiato dal periodo coloniale, spesso guarda ancora un po' al bianco con un complesso di inferiorità. In Etiopia per nulla! Ti prendono in giro, anzi! Ed è questo che davvero mi piace, si è davvero uguali quando si è là, la gente non si sente inferiore, ed è bello. Comunque sia, quella prima volta ho comprato centinaia di cassette, ho scoperto l'esistenza di tantissima musica di qualità e ne sono diventato entusiasta. Tutti nella band ascoltiamo comunque più musica africana che rock, in generale, e tutti abbiamo ascoltato musica etiopica fin dall'inizio (è tra l'altro marchiato Terp anche il primo disco europeo dei rumorosissimi congolesi Konono N°1, esplosi nel 2004 con Congotronics ed altro caso di crossover dal circuito world a quello pop-rock, suggellato da un tour insieme agli Ex che Terrie ricorda divertito: “Furono grandi concerti, perfetti per il nostro pubblico. Ma prima suonavamo noi e poi loro, perché facevano un tale casino!” – ndr) . Nessuno però va mai a suonarci, il paese ha una pessima reputazione ovunque, tutti pensano subito alla fame, alla guerra e al caos. Ma non è affatto così, manca informazione. Così abbiamo pensato ‘Sì, forse potremmo fare qualcosa'. Incontravamo etiopi qui ad Amsterdam che ci dicevano ‘Ma certo, non avete che da andare, è davvero più semplice di quello che sembra', ed abbiamo cominciato ad organizzarci, mettendo in piedi un concerto che era fatto per metà di materiale degli Ex e per metà di canzoni etiopiche, per entrare meglio in contatto con la gente. E poi ci siamo semplicemente andati. Per noi è sempre stato del tutto normale, nel 1981 abbiamo fatto un singolo con una band curdo/irachena… si tratta di musica, non di etichette. Quelle non ci interessano. Suoniamo a festival di world music, di jazz, di avanguardia, di musica improvvisata. Possiamo suonare ovunque, ed è bellissimo.”

In Etiopia ci suonano tre volte, la prima delle quali nel 2002 al nord. “Non ci sono molte strade lassù, non passano molte cose, e così abbiamo cominciato proprio da lì. La reazione del pubblico è stata incredibile. Certo non è che si possano proprio organizzare le cose in anticipo, lì non funziona così… semplicemente, arrivavamo nei paesi, andavamo dalle autorità e dicevamo ‘Siamo una band, vorremmo suonare'. In un paio di giorni si organizzava il concerto, ci davano un posto che poteva essere la sala della polizia locale come lo stadio di calcio come il parco. Si guidava in giro per la zona con gli altoparlanti sul tetto del furgone per pubblicizzare il concerto, chiedendo ai ragazzini di ripetere il messaggio nella lingua del posto. E ogni notte c'erano dalle mille alle duemila persone! Due giorni sono sufficienti per organizzare un gran concerto!” Segue un analogo giro al sud nel 2004, e una coppia di concerti con Getatchew Mekuria lo scorso gennaio ad Addis Abeba, presentazione ufficiale dell'album. Terrie ormai ride a crepapelle, con una positività contagiosa: “Là il disco esce su cassetta, e la prima stampa è stata di diecimila copie! Per loro è la quantità minima, ci sono tantissimi negozi di cassette e tantissima gente che le compra. Per noi è abbastanza buffo pubblicare una cassetta in diecimila copie nel 2007! Diecimila è la prima tiratura più grossa che abbiamo mai avuto!”

Quanto vendevano invece i dischi del periodo d'oro recuperati da Ethiopiques ? “Nelle mie ricerche – racconta Falceto – ho trovato le ricevute degli ordini delle case discografiche alle ditte che stampavano i vinili, e da quelle ci si può fare un'idea delle copie pubblicate. La tiratura minima per un 45 giri era di 800 copie, un buon successo stava fra le 1000 e le 2000 copie, il più grande successo di tutti i tempi è Tezeta fatta da Getatchew Kassa, versione lenta sul lato A e veloce sul lato B, che ha venduto 5000 copie ed è il best seller del genere. Entrambe le versioni sono su Ethiopiques 1 .” È stato difficile trovare i dischi originali? “Uh, mi ci è voluto tantissimo! Ho dovuto rintracciare prima i produttori per ottenere le licenze, e quindi i master originali. Ci sono voluti dieci anni per ritrovare i master della principale etichetta della quale ho acquisito le licenze, la Amha Records di Amha Eshèté. Quando scoprii questa musica lui era in esilio negli Stati Uniti, ci andai nel 1987 e lo trovai d'accordo sul cominciare un progetto del genere. Ma siamo stati in grado di recuperare il materiale solo dopo tanto tempo, perché essendo in esilio contro la sua stessa volontà non aveva nessun documento, erano rimasti tutti in Etiopia. Abbiamo dovuto attendere la fine della rivoluzione, e quindi il ritorno di Amha in patria… e dopo dieci anni siamo stati fortunati abbastanza da localizzare i master ad Atene, dove la maggior parte dei dischi veniva stampata al tempo. In Etiopia non esistevano e non esistono stampatori di vinile. I dischi venivano stampati in India, poi in Libano e infine in Grecia.”

E i cd della collana invece, quanto vendono? “Dipende. La prima decina di volumi, avendo cominciato a farli uscire nel 1997, ha venduto ovviamente più degli ultimi. Ma ci sono comunque dei best seller, come il primo ( Golden Years of Modern Ethiopian Music, 1969-1975 ) o il quarto ( Ehio Jazz & Musique Instrumentale, 1969-1974 ), che è composto principalmente da musica strumentale di Mulatu Astatqé usata da Jim Jarmush per Broken Flowers , cosa che ha aiutato molto le vendite. Anche il settimo, Erè Mèla Mèla di Mahmoud Ahmed, va bene. Non posso lamentarmi, le vendite delle prime uscite hanno raggiunto le 12/15000 copie. Non un granchè su scala mondiale, ma niente male se consideri il mercato della world music.”

Non solo a quel mercato, incluse stagiste di danza afro e altri stereotipi assortiti, la serie deve però la sua meritata fama. Anzi. L'interesse è vivo soprattutto nel mondo rock, pop e dance. Può capitare ad esempio di discutere a lungo con Nic Offer, dopo un concerto dei !!!, su quali siano i volumi migliori. Ma i fan sono dappertutto: “I primissimi ad appassionarsi a questa musica, a supportarla e a volerla suonare sono stati gli Ex, che conosco da prima di scoprire la musica etiopica. Sono stati tre volte a suonare in Etiopia, l'ultima delle quali all'Ethiopian Music Festival di Addis Abeba, del quale sono il curatore. Una rassegna totalmente dedicata alla musica etiopica in ogni sua forma, sia essa tradizionale o moderna, suonata da etiopi o da stranieri, come gli Ex quest'anno. Ma non sono gli unici: c'è il Kronos Quartet, che vuole pubblicare un album di sole cover etiopiche. Due anni fa ho incontrato Patti Smith, e mi ha detto che adorerebbe suonare in Etiopia. È una grande fan della serie, e prima dei suoi concerti gli spettatori ascoltano spesso musica tratta da Ethiopiques (buon sangue non mente d'altronde: il suo secondo album non si intitolava forse Radio Ethiopia ? – ndr). Elvis Costello, Tom Waits e Marc Ribot sono tutti grandi fan, e mi fa molto piacere, ne sono orgoglioso. Sono persone più aperte mentalmente dell'artista pop medio, e il supporto arriva per la maggior parte da quel lato della scena musicale contemporanea.”

A proposito di pop, Terrie proprio così si esprime parlando dei grandi citati. Ai tempi si trattava quindi di vere e proprie popstar? “Sì, li definirei popstar – dice il chitarrista degli Ex – ma non tanto in senso commerciale. In senso sociale, piuttosto. Lo si nota ancora se vai a sentire Mahmoud Ahmed quando suona per i suoi compatrioti in Olanda, ad esempio. È una cosa stranissima. Il concerto comincia tipo a mezzanotte, lui canta una canzone e poi della gente sale sul palco e cominciano a chiacchierare. Poi magari una ragazza salta su e chiede se possono fare una foto insieme, e fanno la foto. Poi si fanno una birra tutti insieme, poi ne canta un'altra, e via così. Passano delle ore prima che si vada a casa…”.

E che tipo di musica si ascolta e soprattutto si suona, oggi, in Etiopia? “La vita va avanti anche lì – dice Francis – e hanno accesso a tutti i tipi di musica ai quali abbiamo accesso noi. Puoi trovare tutto, dall'hip hop al reggae a ogni cosa, buona o cattiva. La mia opinione è che la situazione della musica moderna etiopica di oggi non sia però troppo buona. Ai tempi di Haile Selassie era possibile avere delle big band, sponsorizzate dallo stato. Oggi non è più possibile, e così si traffica soprattutto con i sintetizzatori. Ma un sintetizzatore non potrà mai sostituire una big band, e questo è il problema principale. Non solo lì, non solo in Africa, ma dapperutto. I sintetizzatori hanno condizionato molto lo sviluppo della musica. Al momento in Etiopia soffrono ancora di questa sindrome del sintetizzatore. In più, c'è una grossa carenza di arrangiatori. Una volta ce n'erano molti, oggi scarseggiano, e anche questo influisce molto sulla produzione attuale.” Terrie la pensa allo stesso modo: “Non è rimasto molto della grande musica pop dei ‘70. Dopo il periodo di Mengistu è più o meno scomparsa. Ora sta tornando un pochino, ma ci sono soprattutto tastiere, la situazione è abbastanza brutta. Sono però fiducioso su un ritorno della musica pop di qualità… è solo che non ci sono contrabbassi, non ci sono tromboni, mancano gli strumenti. Ma la gente piano piano se ne sta accorgendo: quando abbiamo suonato, in tanti hanno visto il trombone ed hanno detto ‘Cazzo, anche noi lo usavamo'. Stanno pagando ancora le conseguenze del periodo di Mengistu, in un certo senso…”

L'eccezione si chiamava Mohammed “Jimmy” Mohammed, cieco da pochi giorni dopo la nascita, vita travagliata, voce incredibile, spirito che solleva. Morto di cancro lo scorso dicembre, appena dopo averci lasciato un gioiello come Takkabel! (Terp). Settantuno minuti di tributo al repertorio del mito dei miti Tlahoun Gèssèssè – imperdibile la sua antologia, Ethiopiques numero 17 –   rivisitato in chiave minimalista con il solo ausilio di una batteria, un krar (piccola arpa elettrificata che suona come una Stratocaster dal cielo) e appunto una voce, integrati all'occorrenza dalla batteria del maestro improvvisatore olandese Han Bennink, dal basso del nostro Massimo Pupillo (Zu) e dal sax dello scatenato Mekuria. Il ricordo di Francis e Terrie è ugualmente commosso: “Il disco di Jimmy è bellissimo – dice il primo – e lui era un entertainer incredibile sul palco. È un peccato che non sia così famoso in Etiopia, nonostante abbia pubblicato anche due o tre cassette oltre a questo cd. Negli ultimi anni lo abbiamo invitato molte volte a suonare in Europa, ed ogni volta… ogni volta il pubblico era sistematicamente rapito dalla sua performance sul palco.” “Era una persona incredibilmente fragile – continua il secondo – ma allo stesso tempo un cantante pieno di forza. Era così debole e così forte insieme. Ha suonato davanti a 3000 persone per la serata africana del festival jazz di Moers, in Germania, surclassando Femi Kuti che è salito sul palco dopo di lui. Incredibile. Diventava così forte quando aveva l'attenzione del pubblico.”

Proprio un concerto di Jimmy con Bennink e gli Ex, in dvd, sarà tra le uscite che inaugureranno Ethiosonic , nuova collana curata da Falceto in partenza nei prossimi mesi e “dedicata esclusivamente alla musica etiopica contemporanea: i migliori musicisti di oggi in Etiopia, i migliori musicisti di oggi in esilio e qualche straniero che suona musica etiopica.” Previsti anche, sempre in dvd, un concerto di Mahmoud Ahmed con i jazzisti/improvvisatori bostoniani della Either/Orchestra ed un concerto degli Ex con Mekuria. Ma anche la serie principale continuerà: “Il ventiduesimo cd saranno cose vecchie di Alèmayèhu Eshèté, considerato il James Brown etiope. Il ventitreesimo invece conterrà materiale inedito e per lo più tradizionale di una delle prime band private di fine anni '60, l'Orchestra Ethiopia.” E Terp? “Altre cose etiopiche. Ad Addis ho trovato un bravissimo suonatore di begennd , una grande arpa con dieci corde ormai piuttosto rara, e la prossima uscita sarà sua. Poi voglio fare uscire delle vecchie cose di vari azmari (casta di bardi che cantano nei bar, acompagnandosi con una specie di violino ad una corda chiamato masenqo o con un krar – ndr) che a Francis non interessano… ce n'è uno che sembra Captain Beefheart! Prima o poi uscirà anche un dvd sui nostri tour in Etiopia, e sto anche lavorando a un programma per portare là ogni genere di musicisti avventurosi. In molti mi chiedono informazioni, vogliono suonarci. È facile? Sì, quando sai un po' di cose sul posto. Tutti quelli che voglio portare hanno suonato con Getatchew, o conoscevano Jimmy… se portassi una rock band tutta macho non funzionerebbe! Serve gente con apertura mentale, in grado di improvvisare anche e soprattutto nella vita quotidiana, non solo sul palco. Nulla va come te lo aspetti: devi essere flessibile, non è da tutti!” E Terrie se la ride, contagioso. Consiglierebbe una vacanza in Etiopia? “Certo! È molto più semplice di quanto non sembri. È un posto sicuro e tranquillo, molto divertente. Il cibo è ottimo, la gente è fantastica. Devi solo abituarti al fatto che tutto succede per la strada, e per gli occidentali è difficile ormai. Ci vuole qualche giorno per realizzare che è tutto normale.” Tutto tranquillo, pare, anche se si ha passaporto italiano: “Non ci sono problemi – dice Francis –   nessuno ti darà fastidio perché sei italiano. È il passato, la vita continua.” “Molta gente è morta, è stato un periodo davvero brutale e negativo – conclude Terrie, sempre più divertito e simpaticamente sfottente – ma gli italiani hanno anche costruito qualche strada e qualche galleria, e la gente lo trova positivo. E poi hanno portato la macchina per l'espresso, che è molto utile per l'Etiopia, dove si beve un ottimo caffè. Ma non mi vengono in mente altre cose positive…”

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