WE ARE FAMILY
La Daptone Records, il rinascimento soul-funk e il caso Back to Black

Non è cosa recentissima, l'emergere in varie parti del mondo di una scena soul-funk ispirata direttamente al periodo d'oro del genere, quello compreso cioè fra la metà dei '60 e la metà dei '70. Un nome cardine come quello dei tedeschi Poets Of Rhythm, per esempio, esordisce addirittura nel 1992. Ed è intorno alla metà dello scorso decennio che un numero sempre maggiore di compilation a tema comincia a rovistare nei magazzini di etichette più o meno grosse, ravvivando una passione diffusa e mai del tutto sopita per il suono afroamericano più deep . Poi chissà come i tempi si fanno maturi per il salto del fosso, e quella che sembrava solo una delle tante correnti nostalgiche ciclicamente segnalate nella musica che ci piace diventa rilevante adesso . Segna i nostri tempi, suona come la cosa giusta al momento giusto. Prima il timido affacciarsi sugli scaffali di un gioiellino come Keep Reachin' up di Nicole Willis, moglie e musa di Jimi Tenor. Poi, soprattutto, Amy Winehouse e il suo Back to Black . Album che mentre scriviamo - complice un'interessante edizione deluxe - staziona sicuro fra i dieci dischi più venduti in Italia, dopo aver stazionato sicuro nella top 20 del 2007 per questa stessa rivista, al dodicesimo posto per la precisione. A memoria, una coincidenza rara.

Proprio Back to Black e il suo successo sbloccano quindi il discorso, in anticamera da tempo: gran bel disco a prescindere, sei dei suoi dieci brani - quelli che più ne definiscono l'atmosfera, tra l'altro: i singoli Rehab , You Know I'm No Good , Back to Black e Love Is a Losing Game , e chicche come Wake up Alone o He Can Only Hold Her - arrivano dritti dritti dallo studio e dalla band intorno ai quali ruota gran parte della scena di cui sopra: i newyorkesi Dap-Kings (solitamente impegnati insieme all'incontenibile Sharon Jones), vera e propria house band di quella Daptone Records che ci ha dato anche Budos Band, Sugarman Three, Mighty Imperials, Daktaris e Poets Of Rhythm stessi. Ma anche i vinili degli Antibalas, del cui vibrante afrobeat moderno si è detto giusto il mese scorso.

A Neal Sugarman - sax tenore dei Dap-Kings, leader degli Sugarman Three e proprietario del marchio insieme a Gabriel Roth, che suona il basso nei Dap-Kings ed è stato a lungo chitarrista e produttore degli Antibalas stessi - abbiamo chiesto innanzitutto una cosa: è forse il soul un linguaggio universale più degli altri, capace di parlarci in maniera più profonda? Ovvero: il suono Daptone è caldo e vintage , ma qualcosa, uno je-ne-sais-quoi che scansa la nostalgia fine a se stessa, lo rende estremamente moderno ed attuale. Cosa? “È bello sentirtelo dire, ma è difficile da spiegare. Amiamo le nostre influenze, sogniamo con ogni ristampa di Otis Redding… se venissi qui rimarresti impressionato, conosciamo tutti quei vecchi dischi. Ma vedresti anche che non siamo tutti vestiti in giacca e pantalone mod, non stiamo cercando di risuscitare qualcosa. Non stiamo dicendo ‘questo è il 1967'. Facciamo quello che facciamo in questi anni, in questi giorni. Non stiamo cercando di ricreare cose successe in un'altra epoca, o di essere qualcun altro, ma di fare dischi che suonano e comunicano come i dischi che ci piacciono. È una cosa naturale, è quello che facciamo. È onesto, sincero, ed è per questo che suona attuale.” Roth, in un'altra intervista, aveva tagliato più corto: “Siamo in cima alle classifiche con Amy Winehouse: si può essere più attuali di così?”

La collaborazione con la stella inglese - accompagnata anche dal vivo nel tour statunitense che ha proiettato in classifica l'album - è il culmine di una storia che comincia nel 2002, quando il dj e produttore Mark Ronson campiona un brano di Sharon Jones And The Dap-Kings per il suo primo album Here Comes the Fuzz , pensando si tratti di roba d'epoca. Svelato l'arcano, un Ronson in ascesa verticale usa il gruppo per la porzione abbondante di Back to Black da lui prodotta, ma anche per il suo secondo album Version , e per altre produzioni che vanno da Robbie Williams ai Boyz II Men, dalla colonna sonora di American Gangster al primo remix mai realizzato di un brano di Bob Dylan ( Most Likely You'll Go Your Way , bonus della recente antologia Dylan ). Fino alla chiusura del cerchio, rappresentata dal nuovo album di un pilastro del soul come Al Green. Come ci si sente ad essere i più richiesti in giro? “Non posso negare la mole di attenzione che abbiamo ricevuto in quest'ultimo anno grazie al disco di Amy, ma tutto comincia con Mark. Chi già ci conosceva avrà sicuramente pensato che chiamarci per Back to Black fosse una grande idea da parte sua. Per lavorare con Al Green ci ha contattati invece la Blue Note. Amir dei Roots, il produttore, è un grande fan di funk e soul. Conosce i nostri dischi ed ha ascoltato molto quello di Amy, e per questo ha voluto la sezione fiati dei Dap-Kings. Il solo aver partecipato alle registrazioni è già fantastico. In cima alla lista dei miei dischi preferiti di tutti i tempi c'è molto probabilmente un disco di Al Green, Back up Train . Il suo contributo alla musica soul è enorme, e registrare con la sua voce nelle cuffie è stato incredibile. Lo abbiamo anche incontrato, e non sarebbe potuta andare meglio: è davvero entusiasta, ha un'energia sorprendente, è in grande forma.”

Proposte indecenti, invece? “Direi Michael… come si chiama… George Michael. Stavamo facendo dei concerti a Londra, e ci hanno detto che la Sony voleva incontrarci per il suo disco. Ci siamo chiesti se davvero volessimo farlo, poi abbiamo deciso di andare comunque, almeno per incontrarli e vedere. Ci siamo andati… e loro non c'erano nemmeno! Dobbiamo fare attenzione a ciò che facciamo. Prima di tutto vengono sempre i nostri dischi, sono la nostra priorità. Ma è difficile gestire e fare quadrare tutto fra i tour, la nostra musica e gli impegni in studio con altra gente. Per questo, certi progetti vale la pena di seguirli ed altri non sembrano così interessanti.”

Amy, intanto, sale un giorno sì e l'altro no agli onori delle cronache per fatti che hanno poco a che vedere con il suo innegabile talento. Come vive la situazione chi ci ha lavorato a stretto contatto? “È stata una grande esperienza. Nessuno di noi la conosceva o quasi all'epoca: Mark ci fece sentire le sue cose, ed erano belle canzoni, con una gran voce. Un paio è venuta nel nostro studio a registrarle, insieme a noi. Ero contento di aver fatto un bel disco, ma non mi aspettavo molto. Non ero sicuro che il pubblico americano fosse pronto per un disco così, registrato in analogico con un microfono per la batteria e uno per la sezione fiati. Non che fosse una ragione sufficiente a farmi smettere di farli, ma pensavo che dischi soul con quel suono non vendessero. E invece… è letteralmente esploso. Tra tutte le canzoni, quelle che mi piacciono di più sono He Can Only Hold Her e You Know I'm No Good , quelle che più di tutte suonano come i Dap-Kings. Love Is a Losing Game anche. Ma ci sono tante canzoni bellissime su quel disco, e il fatto che sia andato così bene aprirà le porte ad altri dischi del genere. Perché la gente ha ascoltato un lavoro prodotto con un certo orecchio, qui, con i nostri microfoni e i nostri strumenti, che suona diverso dal 99% dei dischi da classifica che escono adesso. Ancora una volta devo dire che la grande idea è stata di Mark. Noi stavamo solo cercando di fare la nostra musica, non pensavamo di vendere milioni di copie. Mentre molti dischi moderni vengono prodotti entrando in studio proprio con quel pensiero, quell'intenzione.”

Positiva anche l'esperienza del tour: “È stato stupendo. Amy era davvero contenta di lavorare con noi. È un'ottima musicista, ha un ottimo orecchio e una grande estensione vocale, è soulful . È molto aperta mentalmente, non cercava di dirci cosa suonare. Molti cantanti che lavorano con una band, se un giorno non sentono una cosa esattamente come era il giorno prima vanno fuori di testa, lei no. Continuava a dirci di fare quello che facciamo di solito, ‘suonate così bene sul vostro disco, fate lo stesso'. Sì, beveva un po', ma era decisamente in grado di badare a sé stessa. Adesso non ho idea di cosa le stia succedendo, forse è una fase da cui deve passare. Ma è un peccato, specialmente perché quando abbiamo suonato con lei c'era una vibrazione davvero bella fra di noi. Avendo visto quel lato di lei, avendo realizzato che ha molto talento… potremmo fare altri dischi insieme, no? È un peccato, ma è giovane e sveglia abbastanza per venirne fuori, perché è un vero talento.” Farla venire di nuovo a New York a lavorare con voi non sarebbe una cattiva soluzione, no? “Esatto! L'ultima volta che è stata qui ho proprio pensato che avremmo potuto semplicemente andare in studio di nuovo e fare un altro gran disco in un attimo. Perché viaggiamo sulle stesse frequenze, ci troviamo.”

Attenzione però: la cantante titolare in casa Dap-Kings è un concentrato di carica e stile a nome Sharon Jones. Afroamericana cinquantunenne che fiorisce tardi, dopo una vita passata a cantare ai matrimoni e a lavorare anche come guardia carceraria. È lei a brillare più di tutti nei tre album del gruppo, con l'ultimo 100 Days, 100 Nights (2007) come fiore all'occhiello. “Di lei dovremmo parlare! Devo dirlo, abbiamo fatto i concerti con Amy, e sono stati belli, ma poi abbiamo fatto un altro tour con Sharon… ed è lì che sudiamo! È li che la band fa quello che fa, suonando soul grezzo e seguendo una cantante che ci può portare dove vuole. Con Amy, notte dopo notte era sostanzialmente lo stesso. Improvvisa un po', ok, ma con Sharon andiamo in un posto diverso, emozionalmente e su molti altri livelli. Sharon è una cantante davvero calda, prende la band e la guida in altre direzioni. Lavoriamo con lei dal 1998 circa, ma solo adesso sta raccogliendo i frutti. È il suo momento, e in tanti stanno riconoscendo il suo talento, non solo di cantante: da poco ha esordito come attrice in The Great Debaters , chiamata dal regista e protagonista Denzel Washington in persona. Sharon è così sincera, quasi ingenua in un certo senso. Il suo approccio alla musica e a ogni cosa faccia lascia un'ottima impressione nelle persone. She just does what she does , e la gente se ne accorge.” Anche Lou Reed, tra gli altri: la voce femminile nella versione live del classico Berlin era prorpio quella di Sharon. “Mentre facevamo tutte le cose con Amy, lei non scherzava mica: era in tour con Lou Reed e faceva un film con Denzel Washington! Eravamo contenti per lei. La band è come una famiglia, se noi fossimo stati in giro e lei fosse rimasta qui da sola senza nulla da fare, ad aspettarci, ci saremmo sentiti male, strani. Il fatto che invece si sia tutti molto occupati a fare altro rende le cose più belle quando ci ritroviamo!”

Sul concetto di famiglia occorre soffermarsi. Lo erano moltissime etichette soul dell'età dell'oro, e lo erano le capofila Motown e Stax soprattutto ( consigli per gli acquisti: Respect Yourself - The Stax Records Story , dvd di recente uscita e preziosissimi contenuti – ndr ). Vere e proprie comunità autosufficienti di artisti che lavoravano e quasi vivevano insieme, con un ristretto gruppo di musicisti che suonava su ogni produzione, un ristretto gruppo di autori che scriveva e il medesimo studio a fare da baricentro. Comunità multirazziali come la Stax nella Memphis segregata dei '60, o la Daptone bianca, nera, ispanica e italoamericana nella New York di oggi. “Quando scorri i vecchi 45 giri in un negozio e trovi un disco Motown o Stax, basta guardare le etichette per avere un feeling unico, e sapere che avranno un certo sound e una certa qualità. Noi cerchiamo di fare lo stesso, sviluppare un profilo e un marchio. Come per la Sub Pop di una volta: vedevi quell'etichetta e sapevi esattamente che tipo di musica avresti ascoltato. Motown e Stax avevano un sound che arrivava da uno studio in particolare, tutti i loro dischi erano registrati nello stesso studio. Molte etichette indipendenti dell'epoca lo facevano, e anche per noi è stata da subito una priorità: costruire il nostro studio e portarci gli artisti a registrare.”

Anche i dischi targati Daptone - e sia inteso nel miglior senso possibile - hanno quindi un sound simile. Per lo studio in comune (chiamato House Of Soul, e locato nel quartiere di Bushwick a Brooklyn) e non solo: “I Dap-Kings sono sostanzialmente la house band dell'etichetta, otto musicisti che hanno anche le loro singole band: io suono il sax negli Sugarman Three, il chitarrista Tommy Brenneck ha la Budos Band, l'altro chitarrista Binky Griptite fa dischi a suo nome, il batterista Homer Steinweiss suona nei Mighty Imperials. Siamo un gruppo di musicisti che sono leader di altri gruppi, e quando ci ritroviamo insieme ciò che conta è il collettivo, non fare un assolo migliore di quello dell'altro, o emergere e farsi notare. Non lasciamo che gli ego intralcino la creazione del groove. Molto funk moderno ha troppo extra playing per i miei gusti, e non è detto che ciò aggiunga qualcosa alla musica. È qualcosa che non c'era nei vecchi dischi: quando stai accompagnando un cantante devi cercare di rendere il groove interessante come collettivo. Ed è per questo, penso, che siamo stati chiamati a suonare sul disco di Amy Winehouse, o la nostra sezione fiati ha appena finito il disco di Al Green, o Mark Ronson ci ha usati su tantissimi dischi diversi. Il fatto che molti di noi siano leader ed abbiano un proprio suono migliora quello dei Dap-Kings.”

La storia della Daptone comincia nel 2001. La Desco, etichetta di Roth che pubblica anche i dischi dei Sugarman Three, fallisce. Ma i due continuano a produrre dischi insieme. “Avevamo finito di registrare il primo album di Sharon e il nostro Pure Cane Sugar , e stavamo cercando un'etichetta per farli uscire, ma era difficile trovarne una davvero dedicata al tipo di musica che amiamo. Così abbiamo deciso di metterla su noi stessi, cominciando lentamente con dei 7”, fino a quando non ci siamo potuti permettere di stampare album, e via così.” Oggi che le cose vanno a gonfie vele, ci sono anche due sussidiarie: Dunham ed Ever-Soul. “Dunham è gestita da Tommy. Ha cominciato a registrare cose in camera sua, voleva avere la sua identità come produttore ed abbiamo deciso di creare un piccolo marchio apposta per lui. Sono solo 45 giri per ora, ma uno ( Make the Road by Walking della Menahan Street Band) è stato appena campionato da Jay-Z! Ever-Soul invece è dedicata alle ristampe: amiamo i dischi vecchi, e diversi nostri amici sono grossi collezionisti, che tirano sempre fuori dischi pazzeschi e sono interessati non solo a comprarli, ma a conoscere i musicisti che li hanno registrati. Si parla con loro, si vede se sono interessati a una ristampa legale, se ne acquistano i diritti.”

E ci risiamo: nell'ultimo decennio è uscita una quantità smodata di ristampe soul e funk, reggae e afro, ma il serbatoio di materiale inedito o raro di qualità medio/alta pare davvero infinito. “Lo è! Devi scavare nel materiale a diffusione regionale soprattutto. È quasi un lavoro da detective: seguire piste, parlare con i vecchi musicisti, trovare qualcuno che sa dove sono i nastri, che magari sono stati in una cantina per trent'anni. È pazzesco, anche parlando di reggae o Africa sembra che tra il 1968 e il 1974/75 sia stata prodotta una quantità enorme di musica! A quanti volumi siamo arrivati di Ethiopiques ? Ventitre? È incredibile, sono tutti diversi e tutti bellissimi.” Impossibile a questo punto non chiedere a Neal una piccola playlist di cinque canzoni, che esce fuori fatta di leggende e outsider di lusso: “Ascolto più soul che funk ultimamente, e sto un po' riscoprendo i classici. Oggi ti direi Time and Place di Lee Moses, Can I Change My Mind di Tyrone Davis, Trick Or Treat di Otis Redding, When I Had Your Love  di Marvin Gaye e I'm Tired di Robert Ward And The Ohio Untouchables. Uno dei miei album preferiti è The Dock of the Bay di Otis Redding. È meraviglioso dall'inizio alla fine. Il songwriting, il suono… Otis è il soul più onesto che tu possa entire.”

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