LUNGO I BORDI
Cuneo e la provincia granda
: passione underground dalla periferia

Terza provincia italiana per estensione dopo Bolzano e Foggia, dicono le carte. Provincia granda , dicono i piemontesi. Una delle province dove Rumore vende più copie, dicono le statistiche. Terra da sempre ricchissima di passione per la musica sotterranea in senso lato, e attualmente mossa da una nuova generazione di protagonisti, la provincia di Cuneo è meta naturale per una delle ricognizioni che periodicamente effettuiamo sul territorio nazionale. Anzi: se queste spedizioni hanno un senso, anche e soprattutto verso posti come Cuneo devono dirigersi. Periferici, nascosti, brulicanti. Perché il nome grosso, quello che ha contribuito a fare il rock italiano degli ultimi dodici anni, lo conoscono tutti. Ma il resto? Il resto è due etichette d'eccellenza come Betulla e Kirsten's Postcard: elettronica applicata e non solo per la prima, indie-pop a diffusione esclusivamente online per la seconda. È la potenza tra hardcore e stoner di band come Dead Elephant e Cani Sciorrì, il r'n'r sporco dei Mirsie e il post-rock sui generis dei Kash, con decine di altre esperienze degne di nota a seguire. È il prezioso lavoro di raccordo di Paolo Bogo e la memoria storica di Cristiano Godano, appassionato vorace di rock da ben prima dei Marlene Kuntz. Ed è due primati italiani o quasi: uno dei locali storici e uno dei più grandi negozi di strumenti musicali.

I primi che incontriamo sono Piercarlo Bormida e Paolo Beltrando, attivi rispettivamente come Strek e Atzmo, insieme creatori di uno dei marchi più interessanti e creativi della nostra scena elettronica. Betulla Records nasce con il nuovo millennio dopo lunga esperienza live dei due di cui sopra, quando ancora l'elettronica era macchine e non software. Il catalogo basta ad illustrarne le intenzioni, di certo non banali: da un bootleg semiclandestino di Boys di Sabrina Salerno a alle commistioni con il noise-pop degli ultimi arrivati Springsale di Drown Yourself in Shoes and Sweaters (“Pazzi stonati, con canzoni che rispecchiano i nostri parametri: melodia di fondo e follia. Batteria elettronica, chitarre ipernoise con sedici pedalini schiacciati e canzoni”), passando per il minimalismo campagnolo di Jaeck The Bit e il cantautorato non convenzionale del piacentino Musica Per Bambini (“Branduardi frullato da Aphex Twin, geniale”), il Mozart rielaborato al computer di Count Of Saint Germain e una compilation manifesto che segnò, tra le altre cose, l'esordio di Populous. In cantiere i debutti di DV8 (“Radici nel suono massiccio inglese di fine ‘90 e melodicità tutta italiana”) e Flushing Device , e una probabile etichetta parallela di solo vinile ed orientamento dance. “È una cosa nata per passione – dice Pier – e desiderio di indipendenza. Volevamo dare spazio ad artisti e amici che facevano cose interessanti e non lo avrebbero avuto altrimenti. Non abbiamo regole sonore: se troviamo un'orchestra da camera che ci piace, si può fare tranquillamente. Sappiamo tutti che l' elettronica non è più solo elettronica…”.

Tutto questo, si è detto, a Cuneo. Circa 50000 abitanti in un vero e proprio cuneo alla confluenza dei fiumi Stura e Gesso, con il Monviso che guarda dall'alto. Non esattamente Londra… “Stare a Cuneo – continua Pier – ci ha dato una voglia che altrove non c'è, o viene dispersa da troppi input che ti fanno crogiolare in generi già sentiti. Qui, essendo praticamente solo e con del tempo da impiegare, ti devi dare da fare con cose interessanti. E se ad altri potrebbe sembrare un male, dal nostro punto di vista è un bene. Dà stimoli ulteriori, distaccati e non contaminati. Il male è che dopo un po' la cosa inizia a starti stretta e non hai spazi di promozione delle cose che fai. Noi ce li siamo ceati, dai rave nei '90 al festival Encode che organizziamoda quattro anni.” Un isolamento che diventa arma a doppio taglio quindi? “Le opportunità sono poche, pochissime – continua Paolo – e per i cuneesi l'elettronica è la musica da discoteca. Spazi piccoli aprono e chiudono in pochissimo tempo, e vi si possono proporre cose interesanti. Noi stessi abbiamo avuto un circolo per due stagioni, ma con una miriade di difficoltà e poco riscontro. Il rapporto con la città è difficile, la gente è provinciale, non si muove. È chiusa geograficamente e mentalmente. Noi abbiamo fatto il possibile per dare input, e qualcuno comunque ha recepito: abbiamo uno studio, e quotidianamente passano ragazzi a chiedere che software usare, che macchina comprare, che disco era quello che abbiamo suonato la sera prima in quel bar. È pieno di produttori e dj, ma ci sono anche tantissime band che danno sensazioni. Veniamo spesso chiamati nella giuria di concorsi per gruppi giovani o cose simili, e più volte mi sono trovato a sentire cose interessantissime. Non me lo aspettavo da Cuneo. Non c'è nulla - sì, puoi andare a farti grosse camminate in montagna, la montagna è lì e il mare pure è lì dietro quella stessa montagna - ma c'è voglia e necessità di guardare fuori, e la musica è uno dei mezzi più utilizzati.”
Non da oggi, ricorda Pier: “Non saprei spiegare perché, ma fin dagli anni della new wave il fermento è stato alto e molti giovani hanno fatto musica, compresi tutti i nostri amici dai Marlene in poi. In provincia a volte ci sono menti più elaborate, più creative, e non solo nella musica. Menti fervide. Quello che mi piace di Cuneo? La naturalità, un certo approccio pagano verso la natura. Stiamo bene dove viviamo, non c'è casino. È una mini isola un po' montana dove siamo liberi di respirare aria buona e non contaminata. In tutti i sensi.”

Il viaggio continua a Bra, 50 kilometri a nord-est dal capoluogo e altrettanti a sud di Torino, dove troviamo riuniti quasi al gran completo Mirsie , Dead Elephant e Cani Sciorrì . I primi, braidesi, sono uno dei rari anelli di congiunzione fra la scena di metà '90 e quella odierna, nascono proprio in quel momento di stasi e dal 2001 in qua totalizzano due album (l'ultimo, El Santo , è esaurito ma scaricabile gratuitamente dal loro sito) ed esibizioni in Italia e fuori. “Sono molto legati a radici r'n'r classiche – li descrive Daniel, batterista dei Cani – e hanno un bel groove. Mi ricordano degli (International) Noise Consipiracy più italiani , più influenzati da una sorta di cantautorato rock.” Dead Elephant (già Elephant Men) e Cani Sciorrì vengono invece dalla vicina Fossano e rappresentano l'ala più rumorosa del rock cuneese. Due power-trio devastanti, con intensa attività live e convincenti prove discografiche all'attivo: un album autoprodotto ed un recente mini per l'americana Unfortunate Miracle ( Sing the Separation ) nella discografia degli Elefanti, un primo mini autoprodotto ed un altro per le torinesi San Martin ed El Paso ( Parte V ) in quella dei Cani, che sono hanno appena finito di registrare il nuovo album con David Lenci. “Mi ricordano i Neurosis – dice ancora Daniel sui Dead Elephant – ma con una vena più nevrotica. Possono darti uno schiaffo in faccia, e alternarlo con parti psichedeliche, quasi ambient, la quiete dopo la tempesta. Ci sento anche gli Isis.” “Prima ti immaginavi proprio un elefante che camminava, adesso sono più nervosi” rende l'idea Sandro, cantante e chitarrista dei Cani. La sua band la racconta invece Luca, voce dei Mirsie: “Una versione funny di One Dimensional Man. Hanno un grosso potenziale, la strada aperta da quello che è venuto prima e il plus del cantato in italiano. Blues iperdistorto e molto violento, mentre gli One Dimensional Man arrivano dai Jesus Lizard loro hanno una matrice più riconducibile ad Unsane e Refused.”

Anche con i rocker cerchiamo di capire le radici del fenomeno. Luca individua intanto due fattori tangibili e fisicamente vicini: uno è il suddetto locale, Le Macabre, che vediamo a poche decine di metri da noi ed è davvero un pezzo di storia dell'underground italiano. “Al Macabre, dove io adesso lavoro, hanno suonato tutti, italiani e stranieri. È aperto da 35 anni, da metà anni '80 è tra i posti storici in Italia, e ha generato un' indotto nelle persone che seguono queste cose. Bra poi è la città del cuneese che più gravita su Torino. Io sono arrivato qui da Tortona nei primi anni del liceo, ero già appassionato ma come fonti mi toccavano Dj Television e qualcosa alla radio. Qui avevo gente in classe che ascoltava Clash, Jam, Joe Jackson! La sera andavo in questo locale e sentivo di tutto!” Il secondo è il suddetto negozio di strumenti musicali, Merula, che è un paio di kilometri fuori dall'abitato e riceve visite anche da molto lontano. “La sua vicinanza ti permette di affittare roba, provarla, vedere strumenti ed ampli da vicino, incontrare fisicamente le persone.” E mentre il luogo diventa per alcuni quasi un ritrovo (“Negli anni ‘80 abbiamo passato tutti i sabati da Merula, la nostra vasca era andare lì il sabato a provare le macchine!”, dicevano i ragazzi di Betulla), è interessante e inedito il punto di vista di Daniel sulla questione tecnica : “In provincia si fa una migliore ricerca sui suoni. A Torino se vuoi suonare ci sono tantissime sale prova dove trovi il Marshall, attacchi la tua chitarra e suoni. Poi la settimana dopo provi in un'altra sala con un altro suono. Quando devi andare a fare un concerto non hai l'ampli, e avanti così. Qui inizia ad esserci qualche sala, ma la maggior parte dei gruppi che conosco prova con i propri amplificatori in posti che si è dovuta trovare da sola, sbattendosi per creare la propria sala prove, lavorando quindi sul suono fin dal primo giorno. Ed è una fortuna. Più in generale, qui ti rimbocchi le maniche e ti sbatti, le cose non ti piovono dal cielo. Parti da una posizione svantaggiata, ma che ha anche i suoi pro.” Che sarebbero? “Lavori alle cose – interviene Enrico, voce e chitarra dei Dead Elephant – cercando un percorso più personale. Che non vuol dire per forza essere originali o inventare un genere, ma semplicemente avere meno riferimenti e modelli, lavorare maggiormente sul tuo modo di esprimerti.”

Mai pensato di trasferirvi? “Io sì – ancora Daniel – ma qua sto bene. Bra è sempre stata la più attiva tra le cittadine della provincia. Torino invece l'ho sempre vista come il paese dei balocchi: piuttosto vado, faccio festa e in mezz'ora sono di nuovo a casa nella quiete. Mi piace, ma non riuscirei a viverci. Qui è una situazione più intima, ti conosci, c'è amicizia fra i gruppi, ci si presta le cose. Tra i gruppi di Torino invece vedo molta rivalità. Magari sono dinamiche naturali nelle situazioni più grosse, chissà.” “Qui riesci a maturare per conto tuo – ribatte Luca -, e non essendoci niente alla fine puoi fare ciò che vuoi. Ma è una scelta fino a un certo punto. Una libertà che ti è data perché non hai alternativa. In una realtà più grande stringi contatti che ti aiutano, hai opportunità. Invece di conoscere uno che ti presta un pedale per la batteria conosci uno che lavora in un'etichetta e ascolta il tuo materiale prima o più attentamente…”. Enrico si lascia andare ai ricordi: “Tagliavo da scuola per andare a comprare i dischi a Torino. Era un rito, e ancora adesso lo è. Per un periodo in passato ho pensato che il vivere in provincia fosse un limite per il gruppo, e che il fare parte invece di un circuito consolidato facilitasse molte cose. Adesso non la vedo più così. Secondo me però parlare di scena cuneese è fuori luogo, in realtà siamo veramente pochi. Gruppi ce ne sono, però… quelli che suonano o ascoltano musica underground li conosci tutti. Parlare di scena è troppo grosso, vuol dire avere in comune qualcosa di più del vivere nella stesso posto, e non credo…”. Mentre parla però sembra accorgersene lui stesso, e il resto della compagnia completa il convincimento: ci sono gruppi validi con rapporti più o meno stretti di vicinanza, ci sono etichette, ci sono concerti, c'è un pubblico. Si usi pure un altro termine, ma i fatti restano. “Vai a vedere – gli dice Luca – anche solo l'elenco dei gruppi della provincia con una pagina MySpace: è allucinante, lunghissimo, e sono tutti gruppi che hanno riferimenti non ai Negrita, ma a cose interessanti, complesse. La scena la si identifica nel momento in cui arriva qualcuno e ti dice “hey ragazzi c'è una scena', come oggi”.

Sempre a Bra, poche ore più tardi, incontriamo Giuseppe Bottero e Filippo Bonino. La loro Kirsten's Postcard è stata una nostra faccia nuova circa un anno fa, e dell'ultima uscita in catalogo ( A Century of Covers , tributo internazionale ai Belle & Sebastian con Perturbazione, Austin Lace, Billie Vision & The Dancers, Mixtapes & Cellmates, Le Man Avec Les Lunettes, Bob Corn e altri) ha detto benissimo Arturo Compagnoni sullo scorso numero. Kirsten è Kirsten Dunst, Postcard una progenitrice illustrissima: i nostri, l'avrete capito, non sono esattamente fanatici di Jesus Lizard e Neurosis. Le loro uscite ad esclusiva diffusione online, gratuita e con copertine da scaricare come fossero dischi veri , perlustrano piuttosto quella nicchia affollatissima chiamata indie-pop. Con confini rigorosi ed attitudine chiarissima. Due ep per volta, come cartoline da una località: le prime due dalla provincia di Cuneo stessa, con i lavori di Filippo stesso come The Sad Snowman e dei Silent Bliss di Savigliano. Le seconde due dalla Svezia, e non poteva essere altrimenti, spedite da Hell On Wheels e The Hartmans (e propiziate a quanto pare dal nostro uomo a Stoccolma, l'altro braidese Marco Lombardo). “Ci sembra bello – parla Filippo – che gruppi bisognosi di promozione possano averla a livello mondiale, mettendo a disposizione gratuitamente un disco finito.” Continua Giuseppe: “Lui è stato il primo a mettersi in gioco, aveva il disco pronto e ha avuto il coraggio di farlo. L'etichetta è un veicolo più forte, serio e curato di una semplice pagina MySpace. Dà una tua impronta, un'estetica importante e definita. Quale? Giochiamo sul fatto dell'indie-pop come musica da cameretta, cercando di superare la cameretta, di farlo girare, di fare cose non circoscritte e non sfigate a prescindere.”

L'oggetto del tributo parla chiaro: se c'è un'icona indie-pop è proprio la band di Glasgow… “Sono i nostri eroi da sempre – dice Filippo - soprattutto per i primi tre dischi, straordinari nella musica e nei testi. Ci hanno forgiato.” E il socio aggiunge: “Anche qui siamo un po' diversi dal resto della provincia. Di solito qui gli eroi non sono gente come Belle & Sebastian, ma qualcuno che te la canta , più grintoso e incazzato. Noi non abbiamo mai vissuto questa rabbia, per lo meno esteriormente. Poi ci si ritrova sempre, ci si conosce tutti e umanamente parlando non c'è nessuna divisione. Daniel dei Cani o Luca dei Mirsie sono come fratelli. Ma ciò che facciamo ha poco a che vedere con la provincia. Ci viviamo, sì, ma abbiamo studiato a Torino, abbiamo un background che non è quello rock o hardcore tipico della zona. Il primo disco che Filippo mi ha passato è stato Nick Drake e il secondo Giardini Di Mirò, non Smashing Pumpkins o Unsane. Ma il Macabre ci ha abituato bene, tutti. Quando vedi Massimo Volume o Diaframma a sedici anni ogni settimana praticamente a casa tua… il Macabre ci ha fatto crescere con musica che non era quella con cui cresceva il resto della provincia italiana, o anche solo il resto di quella di Cuneo. A quell'età per noi il gruppo grosso era normale fossero i Marlene Kuntz, e non qualunque cosa fosse mainstream in quel periodo. Abbiamo sempre avuto questa scorciatoia , che ci ha visti coinvolti prima come ascoltatori e poi come persone che fanno qualcosa, ed è stato normale scegliere l'indie-rock. L'abbondanza di musica nella zona è probabilmente figlia anche di una reazione forte, negli anni ‘80 e '90, a quella che era la provincia di Cuneo più tipicamente standardizzata, ferma, immobile. Tutta strade, nebbia, capannoni, granoturco e mentalità chiusissima. Una reazione alla quale noi ci siamo accodati, trovando una strada già aperta, anche se quando abbiamo cominciato questa prima spinta era finita.” La spinta che produsse gruppi come i citati Marlene, su tutti. Per i quali entrambi i nostri interlocutori hanno parole dolcissime. Filippo: “Importantissimi, il mio primo gruppo. Fossero statti di un'altra città e non di Cuneo non li avrei adorati così.” Giuseppe: “I gruppo della vita. Sono stati un modello e ci si è potuti riconoscere in loro, nelle loro canzoni. Io ho vissuto quella che chiamo la ‘rabbia di Godano', quella che hai dentro. E lui è un grandissimo, non ha mai fatto la star. Tutti loro sono rimasti tranquilli, con i piedi per terra… ma sono cuneesi del resto. Cristiano una volta mi ha detto di essere un bogia nen ! (termine dialettale per indicare chi non si muove, in senso letterale e non solo, e diventato simbolico del carattere piemontese – ndr). Johnny Marr diceva che Manchester è un buon posto per andarsene e un buon posto dove tornare. Ecco, Cuneo è uguale.”

Chi da Cuneo pare non avere intenzione di spostarsi è Paolo Bogo . E meno male, perché verrebbe a mancare una fondamentale attività di archivio e spinta, che si concretizza ogni lunedì nell'invio a circa 600 indirizzi di Agenda Rock , newsletter via e-mail che riepiloga e presenta tutti gli appuntamenti degni di nota in provincia, con sconfinamenti torinesi. E nel mantenimento di tutti i numeri arretrati in un sito web consultabile facilmente a partire dal nome del gruppo che interessa. Uno strumento indispensabile per appassionati ed addetti ai lavori. A Paolo chiediamo due parole sulle band non ancora citate, come i freschissimi Fuh per esempio. Dei quali a ragione tutti dicono un gran bene, e che sembrano avere le carte in regola per diventare la meno “di nicchia” fra le band trattate in questo articolo. “Sono la cosa più emozionante successa ultimamente. Giovanissimi, cultura musicale molto alta. Mentre le altre nuove leve della zona come Treehorn o Fagetz , pur se molto valide, sono fedeli al modello Dead Elephant/Cani Sciorrì, i Fuh sono originali, mescolano le carte, hanno riferimenti vari, non ascoltano un solo genere ma tantissime cose diverse, e si sente. È rock chitarristico americano, con momenti più noise, altri più psichedelici e impatto hardcore.” Ma non è tutto, e lo si va dicendo da qualche pagina. Ci sono anche il punk'n'roll marcio alla Oblivians dei due Captain Caveman , l'hardcore di impronta screamo dei Ruggine e quello più metallizzato degli Slaiver , il post-rock classico degli Ela Paura , l'indie-pop stortissimo dei Den Van Stanten , il misto rock/elettronica dei Running Woman Idea (attualmente al lavoro con il guru americano Kramer), l'indie poco convenzionale dei L[ee]PS , i trip afro/elettronici dell'ottimo Consorzio Agrario , che piacerebbero assai agli Stromba. Ci sono gli esplosivi ed ormai rodatissimi Stylefire , duo di blues punkizzato con un paio di dischi all'attivo. E ci sono soprattutto i Kash , che hanno instaurato da diversi anni una collaborazione con Steve Albini (produttore dei loro ultimi due dischi Kash e Beauty Is Everywhere ) e con altre realtà di Chicago come Stickroom Records, e che da quelle parti sono in tour proprio mentre leggete. “Mi hanno sempre intrigato molto – racconta Paolo – e da anni stanno portando avanti una ricerca incredibile. Sperimentazione a livelli quasi irritanti , pezzi rarefatti e rumorosi, spigolosi fino alle estreme conseguenze, cerebrali. Una destrutturazuione totale dei brani, anche se quelli nuovi suonano più comunicativi e classici, inusualmente piacevoli . Hanno un percorso creativo coerente e unico, rapporti intensi con gli Stati Uniti e presenza sul territorio nazionale limitata quasi alla sola provincia di Cuneo. Colpa da dividere a metà: non sono stati cercati e non hanno cercato.”

A Paolo chiediamo anche, ovvio, una visione d'insieme su quello che lui stesso ha definito “nuovo rinascimento del rock cuneese”, dopo quello di fine '80/inizio '90. “C'è una radice storica, esperienze che hanno creato un humus. Oltre al punto di riferimento Macabre, che ha reso Bra un posto in cui ascoltare certa musica era persino figo e di moda, c'era fino a qualche tempo fa il Capolinea di Entracque, altro locale fondamentale. E poi c'è Nuvolari Libera Tribù , uno dei più importanti festival estivi d'Italia, nato dall'esperienza del festival Movimenti nel biennio 1986/'87. Il primo anno le stelle furono gli Out Of Time di Bra (il loro Stories We Can Tell del 1985 è una pepita byrdsiana di lusso - ndr) e gli Intolerance di Cuneo, la sorpresa i Jack On Fire di Cristiano Godano. L'anno dopo c'era praticamente tutto il meglio del rock indipendente italiano, ma economicamente fu un disastro. Alberto Castoldi ha proseguito con il Nuvolari, festival ormai quasi quindicenne che potrebbe presto evolversi nella struttura permanente della Casa dell'Arte. Una sorta di Nuvolari fisso con sale prova, laboratori, concerti, cinema, teatro. Un progetto pubblico che riconosce a Cuneo un ruolo, una motivazione storica in campo musicale. Non una cattedrale nel deserto insomma. Fa tutto parte di qualcosa che chiamo ‘educazione permanente': tra Macabre, Capolinea e Nuvolari i cuneesi avevano   la possibilità tutto l'anno di ascoltare e vedere cose inusuali per una provincia decentrata come la nostra. E alla fine si è creato l'humus di cui parlavo. Oggi i concerti sono al Cinema Vekkio di Corneliano d'Alba, al Ratatoj di Saluzzo, al Condorito di Margarita, al Patchanka di Montà d'Alba e al vecchio Macabre. O nei boschi, con il generatore.”

Ripetutamente evocato nelle varie conversazioni, è a Cristiano Godano che ci rivolgiamo per tirare le somme e guardare indietro. Magari all'educazione musicale di un ragazzo di Fossano. “Tutto risale alla mia frequentazione della famiglia di mia madre a Canale d'Alba, da bambino. Erano rivoluzionari dell'epoca, militanti del Pdup. Essere del Pdup a Cuneo voleva dire avere tutti che ti guardavano strano… era la provincia conservatrice, non in modo schifoso come altrove, ma comunque democristiana a palla. Chi votava da alte parti era già strano, figurati il Pdup. In quella casa, dai cugini più vecchi, trovavo tutti questi dischi di west coast americana, Neil Young, i Jefferson… ma anche i Jethro Tull e un po' tutto il rock di allora. Da lì nacque un'attrazione clamorosa per il rock, sfociata nell'acquisto di Ciao 2001, giornale musicale dell'epoca, dove lessi la pubblicità di una rivista assurda, con foto di creste e nomi strani, che era Rockerilla. La mia missione diventò trovare questa rvista, ero incredibilmente attratto dal nuovo. Su tre copie in edicola, due le prendevamo io e il mio amico, con il quale nacque l'idea di mettere su una band che divenne il primissimo nucleo dei Jack On Fire. Poco alla volta mi spostai verso Bra, e lì mi resi conto di quello che stava succedendo. Il Macabre, la sua conformazione a grotta, con le stalattiti, la sua aura di locale underground. Ma non solo, Bra divenne il luogo dove si formò un gruppo cruciale per la rinascita del rock italiano di ispirazione americana, gli Out Of Time . Mi orientai verso l'America, mentre a Cuneo andava forte la new wave, e c'erano cose interessantissime. Il mio amico Luca Musso alias Intolerance per esempio, che non c'è più e che rimpiango tantissimo: brillante, intelligente, intrigante. Ora dopo anni riascoltando le sue cose mi rendo conto di cosa stesse facendo, roba alla Throbbing Gristle o alla Cabaret Voltaire praticamente in contemporanea. Già estrema nel mondo, figuriamoci a Cuneo.” Come si nutriva la passsone? Il racconto evoca trascorsi da rocker di provincia in cui moltissimi si riconosceranno: “Si andava a Torino a comprare dischi da Rock&Folk, la mecca. Era una gioia, programmavamo i viaggi con largo anticipo e il giorno X si raggranellavano i soldi e si partiva, con in testa tutte le recensioni degli ultimi numeri di Rockerilla, senza bisogno di appuntarsi niente. Le scelte erano soffertissime, perché i soldi erano quelli che erano… però che emozione! Ho fatto anche il dj, misi su un programmino radio con Silvio, il ragazzo con cui iniziammo i Marlene. Intervistammo anche gli Out Of Time! Andammo a Radio Fossano dal metallaro che ci lavorava - un metallaro tosto, competente - a chiedere uno spazio rock. Lui fu contentissimo, ci stimava un casino anche se quello che mettevamo per lui era merda. Ma ci ha sempre rispettato, vedeva   passione vera.”

Ma come si sta a Cuneo? “Alla mia età, da musicista che va spesso in tour, è la città ideale per la decompressione, per il relax. Volendo impegnarsi, come fa la maggior parte dei cuneesi, ci sono montagne magnifiche. Sono posti dove… è così lontana l'ìimmagine che sto per dare da quella del rockettaro urbano che fa musica alla Sonic Youth… però il confronto con la natura, quando vai a fare le camminate, è una cosa molto speciale. A una persona dotata di un minimo di sensibilità, abituata a riflettere su quello che le succede, basta andare un attimo su quelle montagne, che hanno ancora qualcosa di selvaggio, di non   contaminato dall'industria del turismo, per sentire la forza e l'importanza della natura. È magnifico. Ci si rende conto di quanto sia importante: dal punto di vista ecologico, della sua salvaguardia, e da quello del dialogo con la natura stessa. È vero, siamo venuti fuori come gruppo del tutto diverso, ma Sonic Youth a parte i miei due punti di riferimento sono Nick Cave e Neil Young, due che vengono da scene marginali. Cave è australiano, i Bad Seeds li ho consociuti e si sente che non sono inglesi o americani, hanno una componente ruspante , e quasi la esibiscono. Neil Young è un canadese, un burbero, un solitario. Gli americani dicono di lui che è un tipo never too clever , mai troppo intelligente. Ma lo amo. Il cuneese? Lui non è burbero… è il bogia nen . Cuneo è così marginale, ogni volta che rientro da un tour mi incazzo per quanto è lontana! E questo definisce e plasma il caratterere del cuneese, che stando così lontano guarda a ciò che succede nel resto d'Italia, al centro , con una sorta di strana curiosità, con circospezione.” Mai pensato di cambiare città, con i Marlene? “È capitato, ma a volte la vita prende certe pieghe e non è facile cambiare. Dopo Catartica ci siamo dovuti per forza votare al live, e quando sei sempre in giro non pensi a trasferirti. Poi ti ritrovi radicato in un posto, con casa, figli. E interviene un'altra consapevolezza: in fase creativa Cuneo ti costringe a concentrarti su ciò che fai. Non ci sono distrazioni, e se vuoi fare bene il tuo lavoro è meglio. E nonostante tutto, a Milano non riuscirei a viverci più di un settimana.”

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