PAURA E DELIRIO A CAGLIARI
Noir mediterraneo, intrecci culturali e rock cinematografico. E il migliore garage-punk del momento.

“Cagliari è una città molto bella, ma non diciamolo troppo in giro. Io evito, ho sempre terrore che poi la gente arrivi. Quando mi chiedono come è dico sempre ‘Mah, così così…’.” Ride Massimo Carlotto, di fronte a un istinto che tutti abbiamo provato almeno una volta: tenersi per sé le cose belle, per paura che troppa esposizione le sciupi. Strade tortuose, che non stiamo a riepilogare, hanno portato uno dei massimi esponenti della letteratura noir italiana contemporanea a stabilirsi molti anni fa nel capoluogo sardo, e lui scherza ma non troppo. Come chi trova una spiaggia da sogno e vuole ritardare il più possibile lo sbarco di Umberto Smaila e Simona Ventura.
Perché in fondo, della Sardegna questo si sa e si dice al netto di Grazia Deledda e Gigi Riva, e del mito stinto di Grazianeddu Mesina: una public image di mare, sole, Briatore in pareo e Berlusconi in bandana. Di paradiso e limite ostile della civiltà in un colpo solo. E Cagliari? Mai percepita come luogo bello e interessante. Porto Cervo casomai, ma… Cagliari?!? Fa eccezione questa testata, verrebbe da dire, che alla musica della città ha sempre fatto attenzione. E che stavolta ha annusato nell’aria qualcosa di più di un insieme di coincidenze. Un fiorire quasi contemporaneo di esperienze diverse, scopertesi in qualche maniera limitrofe, quando non intrecciate. Una città che sotto le apparenze si dimostra pulsante e scura, poco solare e molto intensa, come le storie che su un palco o su un libro raccontano i protagonisti che incontriamo. In una Cagliari piovosa e fredda, tanto per mettere le cose in chiaro.

Ci guidano Diablo e Jimi, cantante e bassista dei Sikitikis, fondatori e anima del gruppo che più di ogni altro negli ultimi tempi ha attraversato il mare, reale e ideale, che separa l’Isola dal Continente. Con un disco come Fuga dal deserto del Tiki, numerose esibizioni live e stimolanti incursioni nella sonorizzazione di pellicole in diretta, riuscendo a coniugare quindi raffinate potenzialità pop, carica rock grezza e passione sfrenata per certo cinema degli anni ’60 e ’70, dal poliziottesco di serie B all’Elio Petri più visionario. A loro affidiamo il ruolo di perno attorno al quale far ruotare la storia, di anello mancante ed equidistante fra le pagine di scrittori come Francesco Abate e lo stesso Carlotto da un lato, e le note di band come Rippers, Gods Of Gamble ed Hangee V dall’altro.
“Cagliari è una città davvero noir - attacca Diablo - e non è anomalo che vi si sia sviluppato un certo tipo di letteratura. È una città che si nasconde completamente dietro una facciata, carica di facciate. Ognuna è un nascondiglio, e ogni nascondiglio il giusto ambiente in cui sviluppare una storia noir. Noi non abbiamo fatto altro che unire questo discorso con un altro che qui ha fortissima tradizione, quello del rock’n’roll, del garage, di un suono prettamente di nicchia nel quale i sardi sono particolarmente bravi. Abbiamo cercato di fare una cosa più complessa, e abbiamo scoperto solo col tempo questa unione. All’inizio è stata involontaria, nata semplicemente respirando l’atmosfera dei nostri amici e dei nostri quartieri. Cagliari  è una città funky, perché il funk è la musica che più unisce la capacità di incamerare calore e allo stesso tempo di provocare inquietudine. Non a caso ha sempre fatto da sfondo a ricognizioni di auto della polizia, sopralluoghi per rapine e cose del genere. La città si è trovata immersa in una corrente culturale che ha avuto riscontro in tutta Italia, il ritorno del noir, e ci si è aggrappata, l’ha sentita immediatamente disegnata addosso.”
Continua Jimi: “I poliziotteschi, i noir anni ‘50 e la crime story in generale, come cinema o racconti o suggestioni musicali, a Cagliari sembrano più forti e radicati che altrove. C’è un gusto forte per questo tipo di storie e ambientazioni, pur senza il sottobosco metropolitano di una Milano o una Torino. Nei primi anni ’90 queste cose si sono fatte strada nel nostro immaginario, la suggestione filmico/letteraria è diventata portante quanto quella musicale. Dead Kennedys, Ramones, Sex Pistols e Meteors da un lato, Cronenberg, Kubrik, noir e poliziesco dall’altro.”

Ci sono parti della città dove questa atmosfera è particolarmente forte? “Sant’Elia, - Diablo va sicuro - quartiere estremo per eccellenza, diventato il posto in cui criminalità piccola e grande hanno trovato una perfetta ghettizzazione. Quartiere circondato da un’aura molto scura, nera e pericolosa, con cui il cagliaritano medio della nostra generazione è cresciuto. Un mito sfiorato, mai vissuto realmente ma visto da vicino. Chi voleva comprare sostanze stupefacenti con relativa facilità essendo sicuro dell’acquisto andava lì per forza, al supermercato della droga. Il classico quartiere impenetrabile in cui la polizia non può fare nulla, molto Umberto Lenzi o Fernando Di Leo. Il quartiere a cui pensiamo quando immaginiamo di girare i nostri Roma a mano armata o Milano odia: la polizia non può sparare. Restando ai Sikitikis, Ricognizione è una piccola avventura di acquisto di fumo a Sant’Elia con stop della polizia al momento di andarsene”.

Mezzi torinesi per necessità (lì stanno la loro etichetta Casasonica e il loro management, e lì vivono tutti insieme tra una data e l’altra dei tour, per evidenti ragioni logistiche), i nostri restano però orgogliosamente cagliaritani. Jimi: “Non cambieremmo Cagliari con Torino, mai. Prima di cominciare a stare molto tempo fuori non mi ero accorto di amare così tanto la mia città. Tornando mi è venuta la pelle d’oca.” Diablo: “Torino mi piace tantissimo, e le due città hanno più cose in comune di quanto non si pensi. Ma amo scrivere e ambientare le mie canzoni qua. Sulla scena locale, posso solo dire che abbiamo girato l’Italia quest’anno, ma non ho ancora visto una città (grandi escluse) con questo numero  di progetti interessanti e di valore oggettivo. Purtroppo quasi sempre in ambiti di nicchia, ma in quel settore Cagliari è incredibile. Giro e non vedo gruppi che suonano come Gods Of Gamble e Rippers, o progetti elettronici come Machina Amniotica!”
Continua Jimi: “Ma anche Hangee V e i veterani electro/industial TH26, con dischi su Smallvoices. Oppure Old Sparky, (P)neumatica, Lev 19-28. O i Gold Kids, che oltre ogni luogo comune si fanno un paio di tour europei l’anno nel circuito hardcore. O i Golf Club, i migliori ultimamente tra i più giovani. La nostra è una piccola città, o un grande paese, dove bene o male ci si conosce tutti. Una città sì solare, ma teatro di un clash tra spiaggia e sottoterra, dove si respira questa forte componente nera, ed è l’immaginario che nutre molti dei suoi artisti. Persone con cui si è lavorato anni fa per poi perdersi le ritrovi ora, ed è come se le tessere di un mosaico si incastrassero nuovamente in modo naturale. La rete si è allargata, anche in maniera inconsapevole, arrivando fino a uno scrittore come Massimo che viene qui, si trasferisce, respira quest’aria e ne fa cibo per i suoi romanzi, dove a volte incredibilmente racconta Cagliari pure quando sembra stia parlando del Veneto… ed è un attimo ritrovarsi in una comunione di intenti in cui sonorizzi un reading di quello, arrivi alla suggestione musicale di quell’altro e alle immagini di quell’altro ancora, in un quadretto coeso. La cosa più bella è la spontaneità del processo. Il sardo non è famoso per la sua capacità logistica, è una cosa basata più sul cuore, sullo stomaco.”

Luogo chiave di questo incontro, i vicoli della Marina. Quartiere antico a ridosso del porto dove da tre anni prende forma un “Festival di letteratura applicata” in continua crescita come Marina Café Noir. Nell’antico e affascinante Café Savoia incontriamo Giacomo Casti, uno dei suoi ideatori insieme all’associazione culturale Chourmo. “L’idea di base è di partire dai libri, cercando come interlocutori naturali non altri scrittori, ma musicisti, attori, registi e performer. Scegliamo dei titoli e proponiamo agli autori di essere parte attiva di questa scelta, di confrontarsi con altri artisti possibilmente a loro sconosciuti nella realizzazione di produzioni inedite molto brevi, piccole performance meticce messe in scena in varie piazze del quartiere. Il nero è in fondo solo un pretesto per raccontare storie che altrimenti non verrebbero raccontate. Perché è consigliabile così, o perché la comunicazione è talmente occultata in alcuni suoi gangli da non permettere che questo affiori. Da Romanzo Criminale in giù, la lista è ricca di possibilità di raccontare fornite dalla narrativa, mentre l’inchiesta giornalistica nessuno la vuole più fare quando ci si inabissa troppo”.

Ci ha raggiunto intanto Francesco Abate. Dj tra l’altro, ma soprattutto autore tra i più rappresentativi del noir cagliaritano (Getsemani è il suo nuovo romanzo per Frassinelli) e giornalista: cronista di nera sulla piazza per anni, oggi caposervizio della cronaca cittadina per L’Unione Sarda, maggior quotidiano locale. “Ha ragione Giacomo, il noir è il pretesto per fotografare la situazione. A raccontarla così fai due palle a tutti, o quattro pagine di inchiesta su L’Espresso. O non te lo fanno fare. Sotto forma di romanzo invece affascini il pubblico, e puoi farlo. Un lavoro come il mio offre un osservatorio unico, permette di superare barriere e difficoltà che altri hanno: io sul luogo del delitto posso arrivarci senza problemi, con la corsia preferenziale e oltre il nastro biancorosso. Ma molte cose con il giornalismo non puoi raccontarle, e forse nemmeno devi. Un cronista di nera non dice tutto quello che sa. In un romanzo invece non c’è solo ciò che vedi, ma anche ciò che percepisci. Sul giornale non puoi scrivere ciò che percepisci.”
Cagliari, in questo senso, sembra dare molta ispirazione. “Citando Carlotto, le città del Mediterraneo sono veramente laboratori di nuova criminalità, ed è divertente affrontarli. Se pensi per esempio a che tipo di giochi si stanno facendo in Sardegna per il nuovo sviluppo turistico e immobiliare… la metafora più riuscita è quella del sole nero, l’altra faccia che meno appare. Nell’immaginario collettivo Cagliari è un punto di passaggio, ci arrivi per andare da qualche parte o ci ritorni dopo essere stato altrove. Si perde l’identità della città, che deve fare i conti come tutti i capoluoghi di regione con un improvviso ammodernamento e con un passato che non è mai stato così solare come sembra. È una città che ha vissuto di stratificazioni culturali e quindi anche criminali, ma non è mai stata raccontata. Era molto più facile raccontare la Sardegna del banditismo, che appare per prima, e molto meno quella delle famiglie arrivate dal meridione, da zone dove la camorra fa il bello e il cattivo tempo, impiantatesi dal punto di vista imprenditoriale con meccaniche di sviluppo tipiche di un sottogoverno malavitoso classico e parastatale. Era curioso poter raccontare questo altro tipo di Sardegna che nessuno conosce, e che per certi aspetti potrebbe anche fare perdere Cagliari in confronto ad altre città più nere come Marsiglia o Barcellona. Il filone che cerchiamo di seguire è comunque quello del noir mediterraneo.”
Filone che incontra una letteratura regionale da sempre affascinata dalle trame scure. Senza andare troppo indietro nel tempo, è doveroso citare almeno Giulio Angioni, Marcello Fois, Luciano Marroccu, Flavio Soriga e Giovanni Marilotti. O quel Giorgio Todde che “ambientando i suoi romanzi nella Cagliari dell’800 fa emergere quella odierna”, con lo straordinario personaggio realmente esistito del pietrificatore di cadaveri Efisio Marini. O Sergio Atzeni, morto tragicamente in mare nel 1996: “Con Atzeni - dice Giacomo - si devono fare i conti per farli con la città. Prima degli altri ha capito quali fossero i fenomeni puramente urbani in atto. È stato il migliore nel comprendere e precisare quanto questa città possedesse tutto ciò che rende un posto un laboratorio per capire e penetrare la realtà. Strumenti e contraddizioni, vocazione metropolitana e attitudine provinciale, fermenti artistici di ogni tipo.”

Come il cinema, grande assente nella discussione fino a qui. Ricordate film ambientati a Cagliari? Giusto Pesi leggeri, produzione indipendente diretta da Enrico Pau nel 2001. Ma le cose sembrano in movimento: lo stesso Pau sta montando Jimmy della collina, dal romanzo di Carlotto, mentre Gianfranco Cabiddu sta girando in città un film tv tratto dal racconto di Fois sulla recente antologia Crimini, e in quest’ultimo proprio Giacomo avrà una parte. Entro fine anno, poi, dovremmo vedere su Raitre le dieci puntate di un ambizioso progetto di docu-fiction nelle prime fasi di lavorazione, con soggetti scritti per l’occasione da Carlotto e Abate.
Che racconta: “La produzione aveva pensato di farlo svolgere in dieci città italiane diverse. Poi sono venuti qui a girare la puntata pilota, rendendosi conto che Cagliari non era mai stata raccontata, e che c’era materiale in abbondanza. Il progetto itinerante è stato quindi abbandonato, e saranno dieci episodi sulla città, con attori quasi tutti non professionisti: i poliziotti sono poliziotti veri appena andati in pensione, le prostitute sono vere, i papponi sono veri. L’isola dei misteri è il libro in uscita con i due racconti usati per gli episodi-pilota, scritti appunto da me e Massimo.”

Da tutti evocato, troviamo Massimo Carlotto in un garage dell’hinterland, impegnato insieme ad attori e musicisti nelle prove di un imminente reading di presentazione di Getsemani. Da lui vogliamo il punto di vista del continentale che qui ha scelto di vivere. “Cagliari è un luogo magico per scrivere. Unisce caratteristiche di provincia, tradizionalmente molto adatte al noir, ad altre di dimensione internazionale. È il giro dei quattrini… la Sardegna sta diventando uno dei centri più grossi di riciclaggio di denaro sporco, con insediamenti della mafia russa di cui nessuno parla. È in atto un cambiamento nel profilo criminale dell’Isola, sono finiti i sequestri e un certo tipo di banditismo e si sta affermando una criminalità finanziaria globalizzata. Apparentemente succede molto poco, e invece succede molto. E per un noirista è un paradiso. Nello stesso tempo, continuiamo a rimanere periferia dell’Impero, non siamo travolti da meccanismi che altrove sono stati deleteri per il tessuto culturale. Stare qui ti pone in contatto con tutta una serie di altre sensibilità e intelligenze che lavorano in campi diversi. È il momento storico per chi lavora nella cultura di mettersi insieme, e qui c’è una voglia di farlo che altrove non vedo. È un territorio che ha espresso limiti e cose positive, e quello che c’è oggi ne è la sintesi, il frutto di un lungo lavoro rimasto sotterraneo per molto tempo. Cagliari è una città molto bella, purtroppo sfruttata molto poco. Nell’immaginario di tv e cinema non esiste, ma ha fior di attori e location, e fondi per lo sviluppo cinematografico e televisivo la qualificherebbero come merita. Con una mezza rivoluzione culturale si potrebbe fare di Cagliari un polo culturale al centro del Mediterraneo, una ‘Cagliari Città del Mediterraneo’: ci siamo proprio nel mezzo, ma ne siamo quasi esclusi. Il futuro della città è ancorato a questa grande scommessa.”
E i sardi? “Se devo dirti una caratteristica precisa dei sardi, che mi ha sempre colpito, è il livello culturale altissimo. Cosa per nulla riconosciuta e apprezzata. C’è voglia di uscire dagli stereotipi più limitanti, i sardi girano il mondo, raccolgono, tornano, rielaborano e mettono a confronto con le proprie tradizioni culturali. Ed è tutto più faticoso, perché il cinema è a Roma, la musica a Milano o a Torino… i Sikitikis sono un esempio: capacità di uscire, contaminarsi, tornare, lavorare, avere una prospettiva. Tutto ciò annulla la dimensione dell’isola e fa di Cagliari una città profondamente inserita in altri circuiti.”

Annullare la dimensione dell’isola. Geografica prima di tutto, ma non solo. Davide Ragazzo fu un caposaldo dell’hardcore locale nei ’90 con i Clonmacnoise, e ora divide le sue giornate tra uno studio di tatuaggi e il ruolo di chitarrista in tre gruppi: Gold Kids, Lev 19-28 e (P)neumatica, dei quali è appena uscito un secondo album  per l’indie cittadina Desvelos. “A forza di vivere su un’isola si inizia a pensare da isolano, a pensare che il mondo finisca lì. Ma l’isola è anche un microcosmo all’interno del quale le culture si sviluppano in maniera indipendente, ed è facile trovare cose brillanti, creative. Non a caso molte delle realtà italiane più interessanti sono uscite da posti sfigati. Il più delle volte però non si riesce a materializzare il lato positivo, e restano solo i problemi logistici legati all’isolamento, quasi insormontabili: un gruppo di Milano con 200 euro suona in Germania, noi ci paghiamo il passaggio in nave per un furgone e due persone, e arriviamo a malapena a Roma. E nonostante questo, con i Gold Kids ogni anno andiamo a suonare in giro per l’Europa. Ma sono problemi che richiedono sacrifici notevolmente più alti di quelli richiesti a un gruppo del Continente.”
Diablo approfondisce: “Serve uno sforzo superiore rispetto a quello di un collega di altre parti d’Italia. Ma non ci si può piangere addosso perché si è nati qui, bisogna armarsi di bigietto, prendere l’aereo o la nave e lavorare, scambiare, conoscere, capire. Chi si blocca, chi vive il problema della continuità territoriale più in testa che in concreto, forse non ne ha così tanta voglia. Sembrerò cinico, ma l’ho fatto, si può fare! I maratoneti etiopi correvano scalzi per andare a scuola, e già così vincevano le gare. Poi è arrivato uno e ha messo loro le scarpe, e adesso non li prendi più!”

Chi cerca di non piangersi addosso sono due band che i nostri lettori dovrebbero già conoscere come Hangee V e Gods Of Gamble, entrambe discendenti direttamente da nomi storici del garage sardo. I primi hanno equipaggiamento vintage, vestono di nero e sono consacrati al culto del più puro garage-punk americano di metà anni ’60. Scelta devota e competente, resa accidentata dalle difficoltà di cui sopra: “I pro dello stare qui sono più che altro riconducibili alla bellezza della Sardegna e alla relativa tranquillità di Cagliari. Ma il resto sono solo problemi: spostamenti lunghi e dispendiosi, sempre la stessa gente ai concerti, necessità di fissare almeno quattro o cinque date fuori per non perderci. Per questo tanti gruppi sardi durano poco, e anche l’emigrazione non è un fenomeno scomparso, tuttora molti ragazzi devono lasciare la regione per trovare lavoro.” I secondi invece sono tatuatissimi, hanno amplificatori a muraglia, animano la sezione cagliaritana della Turbojugend e con la loro miscela incandescente di Dictators, Hellacopters, Adolescents e (ovvio) Turbonegro potrebbero mandare a casa gran parte dei protagonisti punk’n’roll più celebrati.

Chi tutto fa fuorchè piangersi addosso sono anche e soprattutto i Rippers, nome di punta della scena garage mondiale e ennesima prova di come la regione, chissà perchè, sia sempre stata terreno fertilissimo per band di chiara ispirazione sixties, dagli anni ’80 di Joe Perrino in qua. Dediti a un selvaggio e incendiario suono di matrice r’n’b europea, come dei Pretty Things o dei Q65 sparati a velocità tripla, in Continente suonano spesso e volentieri, e in Spagna ancora fischiano le orecchie dalla loro esibizione al Wild Weekend 2005. Qui fanno almeno trecento persone ogni volta, dopo gavetta vera: “Ci capitava di prendere la macchina e fermarci nei locali che vedevamo per strada a chiedere di suonare. Anni di concerti interrotti dalla polizia, dalla Siae, da gestori spaventati dai volumi. Adesso evitiamo, facciamo cinque o sei concerti all’anno in Sardegna in posti collaudati e per il resto usciamo. Ci fa piacere anche confrontarci con gruppi diversi, con gente diversa dal solito che conosce poco o niente quello che fai, e ti valuta al di fuori dei canoni strettamente garage.”
Certo però che, in proporzione alla popolazione, da qui sono sempre usciti più gruppi sixties della media nazionale… “La gente di fuori pensa di arrivare a Cagliari e trovare tutti col caschetto e gli stivaletti a punta, ma non è così! È vero, sul territorio sono presenti band di ispirazione simile: noi, gli Intrusi che fanno beat in italiano, gli Hangee V che stanno tra Back from the Grave e surf, gli Emotionz che sono orientati su sonorità freakbeat e mod, i Freaks che fanno punk-rock oscuro e malato stile Killed by Death (o i promettenti Cool Ones, aggiungiamo, fresco duo con un Ripper alla batteria e lo spirito dei migliori Angry Samoans - nda). Ma la scena per me è qualcosa di più, è quello che siamo riusciti a creare con gruppi come John Woo, Hormonas, Mojomatics e Cut, che vengono qui a suonare e con cui si instaura un certo tipo di rapporto. O con una persona come Giovanni dei With Love, che arriva in Sardegna come roadie dei John Woo, ci conosce, ci vede suonare e ci propone uno split con gli Hormonas sulla sua etichetta, al di là dei generi.”

Commistione di stili che si ripromette di realizzare anche Here I Stay, neonata etichetta con un nutrito carnet di uscite in programma per il 2006: l’esordio dei citati Golf Club per cominciare, interessante esempio di new wave poco classificabile e molto orecchiabile, e a seguire altri esordi da parte dei cantautori atipici Stefano Calisti (chitarra autocostruita e melodie tra Barrett e Beck) e Vanvera (folk-noir tra Waits e Cave), e dei frizzanti Junes (pop e beat anni sessanta, Belle & Sebastian e Shins). Le limpide motivazioni ce le espone Gabriele, uno dei fondatori: “Incrementare le produzioni sarde, e non. Motivare le persone che sono qua a fare qualcosa di costruttivo per poter uscire fuori a suonare. Fare dischi e buona musica. Seguire i gruppi non solo nella stampa del disco. Creare la possibilità di suonare in giro e vedere altre esperienze al di fuori della scena sarda, arricchendosi e riportandole qui. È sempre una questione di legami tra noi che siamo qua e tutto ciò che c’è dall’altra parte del mare.”
Diceva bene Gepi insomma, il pusher che Francesco Abate ha messo nel suo Il cattivo cronista: “Noi siamo ad ispirare i film. Non al contrario. Solo che gli americani sono dei lesionati e alla fine rendono tutto una coglionara. Ma per questo non è che ci dobbiamo togliere il gusto di fare quello che ci sentiamo, cazzate comprese.”


(indietro)