RITRATTO DI FAMIGLIA
I Milanesi ammazzano il sabato raccontato dagli Afterhours

"C'è poca Milano nel disco, e non c'è niente del libro.” Serviti: gli Afterhours tornano tre anni dopo Ballate per piccole iene con un titolo curioso e impegnativo come I Milanesi ammazzano il sabato, e subito mettono in chiaro che la loro città c'entra poco o nulla, così come il noir meneghino scritto nel 1969 da Giorgio Scerbanenco (I Milanesi ammazzano al sabato) che quel titolo fornisce, con solo una lettera di differenza. “Il disco non è su Milano e i milanesi – continua Manuel Agnelli – ma parla della famiglia, della vita quotidiana, di quello che ci circonda. Milano è il luogo fisico dove queste cose succedono, tutto qui. Cambiandolo, il titolo acquista un doppio senso: i Milanesi cercano di divertirsi in qualche modo di sabato. Suona anche ironico, rispetto a quello che viene trattato nelle canzoni.”

Parliamo dell'album allora, così diverso dal suo predecessore. Un lavoro musicalmente eterogeneo, quasi frammentario, sporco. “È una cosa voluta. Con quello prima volevamo fare un disco di rock classico, che ci mancava da un po'. Con questo volevamo invece riprendere a giocare. Abbiamo ad esempio inserito i fiati in modo abbastanza pesante e spinto, fiati aggressivi, graffianti, a volte alternativi alle chitarre. La frammentarietà un po' è venuta, ma è soprattutto molto cercata. Non volevamo darci direzioni troppo precise, ma tutti i pezzi hanno comunque lo stesso trattamento sonoro, a livello di strumenti e tipo di arrangiamenti gli elementi sono quasi sempre gli stessi, c'è una patina sonora uniforme. La vera ragione del suo essere eterogeneo è che doveva essere un album molto cinematico, non solo nel raccontare una storia che comincia in un certo modo e finisce in un certo modo, ma soprattutto a livello di atmosfera, come tante scene che si susseguono.” In questo senso va quindi letta anche la breve durata della maggior parte dei pezzi, ben quattordici in soli quarantatre minuti? “Sono pezzi dove proviamo a dire tanto in pochissimo tempo. La formazione attuale è una delle più ricche di sempre, tenevamo a fare un disco che la rappresentasse in pieno. Certe volte la gente fa un po' fatica a capire che possiamo passare dai Beatles a Battisti, dai Fall a Steve Reich o Ligeti, e farlo e basta, fregandocene. Per citare De André, quando la gente non capisce, odia. Ma non possiamo farci condizionare dal fatto di avere questo tipo di atmosfera intorno. L'album bianco dei Beatles, uno dei miei dischi preferiti in assoluto, ha Ob-La-Di, Ob-La-Da e Helter Skelter, Revolution 9 e Long, Long, Long… una varietà pazzesca. Senza volersi assolutamente paragonare, ma volevamo fare una cosa che fosse libera come quella. E che nello stesso tempo rappresentasse tutto quello che la band è in questo momento.”

Una band di padri di famiglia. Con la chitarra elettrica e i capelli lunghi, ma pur sempre padri di famiglia più o meno recenti. E la famiglia, come detto, è il tema centrale della storia di cui sopra. “Non è un concept, ma c'è una dimensione famigliare che inizia, si sviluppa e finisce, e se leggi i testi in questo modo te ne accorgi. Con copertina e sottotitolo (Quattordici ricette di quotidiana macabra felicità) la cosa prende forma. Vogliamo parlare di noi, di quello che vediamo, essere più sinceri possibile. Non decidiamo di fare un disco figo e scegliamo quindi un argomento interessante di conseguenza. È piuttosto un'esigenza, un modo che abbiamo per parlare di noi, l'unico forse. E questo facciamo. È un discorso che riguarda me, che sono autore del 90% dei testi, ma anche il periodo che attraversano molti di noi. Ci si ritrova in certe cose, anche se non si parla di cambiare pannolini e fare la spesa. Se però ti parlassi di uscire, andare in discoteca e trombarmi le ragazzine sarebbe qualcosa di grottesco, per noi.” Sesso ce n'è comunque molto, nei testi dell'album. I bambini così si fanno, per carità, ma non sono esattamente riferimenti che uno associa alla vita famigliare. Magari sono solo schemi mentali… “Spero che si continui a farlo, il sesso! Non vuole essere un disco su come è bella la mia bambina e su come stiamo bene insieme, che certe volte è vero e altre volte no. È un disco sulle sensazioni. I cantautori raccontano storie, la mia generazione ha sempre lavorato più per immagini, tensione e sensazioni nelle parole.” È vero però che per molti, grossomodo fra i venticinque e i trentacinque anni, i cantautori sono proprio gli Afterhours, i Marlene Kuntz, i Subsonica. E i loro testi funzionano come storie lo stesso, così sono percepite… “Sono contento di questo. Le mie influenze da ragazzo erano gruppi che non raccontavano storie, dai Television ai Devo, dai Pixies agli Hüsker Dü. I loro testi mi colpivano molto più di quelli di De Gregori e De André. Erano meno didascalici rispetto alle cose che mi stavano succedendo, più vicini alla mia tensione. Io sto facendo quello che ho imparato a fare, quello che mi viene meglio. Raccontare storie non mi interessa, e forse non sarei nemmeno in grado di farlo in maniera efficace.”

Meglio evocare quindi, e in questo senso i nomi dei singoli brani, curiosi come da tradizione e un po' di più, catturano l'attenzione tanto quanto il titolo del disco: Naufragio sull'isola del tesoro, Neppure carne da cannone per Dio, È dura essere Silvan, Pochi istanti nella lavatrice, Orchi e streghe sono soli. “È il formaggino sulla trappolina, fa parte del divertimento. Nella maggior parte dei testi invece mi sono sforzato di cercare parole che non fossero delle pupazzate di me stesso, per non finire a fare le cover degli Afterhours. Non ci sono tanti slogan o giochi di parole come in passato, sono più puliti da questo punto di vista.” Meno inni rispetto al passato, materiale più problematico, difficile da maneggiare… “Più sincero forse? In realtà c'è sempre stata la volontà di essere molto aperti e chiari, ma in passato ci abbiamo giocato. Sui giovani d'oggi ci scatarro su è un gioco, così come Musicista contabile, Questo pazzo pazzo mondo di tasse e molte altre.” “Ci servivano per farci delle magliette” interviene sarcastico Giorgio Prette, batterista e membro più longevo del gruppo dopo Agnelli stesso. Che continua: “Nel nuovo album ci sono episodi che puoi definire ironici, ma sono piuttosto dolceamari. È dura essere Silvan, per esempio, alla fine è un pezzo triste. È nato da un incontro di Roberto (Dell'Era, bassista – ndr) con il grande mago, e dal racconto di come facesse un po' di tristezza, col suo parrucchino, col suo dover essere uguale identico a come era. Un personaggio a suo modo leggendario che è la mummia di se stesso, come Jerry Lee Lewis o Little Richard. Essere costretti a fare qualcosa che piaccia sempre a qualcun altro, dopo i quarant'anni, è molto frustrante. L'ossessione del continuare a piacere diventa una cosa personale, non è neanche più un fatto professionale, di carriera, è proprio un'ossessione che hai dentro. Da una parte fa sorridere, dall'altra è di una tristezza infinita. E noi siamo qui davanti a te, a quarant'anni passati, a parlare del nostro disco che tu hai ascoltato, sperando che ti piaccia. O no? A quarant'anni sei sicuro di te, se no sei un coglione. A quarant'anni devi aver capito che cosa ti piace o no della vita, cosa vuoi fare o no. Sì, rimettersi in gioco è un sintomo di vitalità, di freschezza, eccetera ecetera… però ti assicuro che a quarantadue anni fare delle cose, che magari ti sono anche piaciute tanto, e presentarle chiedendo ‘Ti piace?' è qualcosa di molto, molto violento.”

Tema affrontato anche in È solo febbre, ispirata dalla scena di Amadeus di Milos Forman in cui Salieri, vecchio e moribondo, suona alcune sue composizioni a un prete che non le riconosce, ma che ne riconosce invece una del giovane rivale Mozart. “Salieri è intelligente e preparato, ma non ha lo stesso dono di Mozart, un coglione trentenne baciato da Dio e dal talento. In quel momento si rende conto di come Mozart sia destinato a restare nella storia, e di quanto lui sia invece un mediocre. Esce dalla stanza, confessa al prete di essere responsabile della morte di Mozart ed assolve i mediocri di tutto il mondo. Lo dice perché lui stesso è un mediocre fra i mediocri, sa che cosa si prova ad essere mediocri. La frase finale della canzone (‘Ego vi assolvo') questo vuol dire, ma naturalmente è stata presa come ‘Manuel si crede Dio e ci sta assolvendo'. Capisci subito quando la gente ti ascolta ed è prevenuta, si aspetta qualcosa da te e già sa come ti giudicherà.” Testo frainteso prima ancora che esca il disco: un piccolo record. Però un pochino si presta, su! “Mettiamola così: ci gioco anche. Ormai, o ci giochi o son cazzi.”

(indietro)